Anche questa domenica il primo pomeriggio l'ho passato su MTV Brand:New ed oggi vi ho scoperto The Raconteurs in un concerto live davvero strepitoso. Una macchina del tempo. Davvero bravi, oltre la perfezione. Un unico fastidio: non tanto la riproposizione senza reticenze del sound Led Zeppelin soprattutto nella voce di Jack White quanto nell'assenza alla fine di qualcosa che davvero andasse oltre il sound. Non vi erano canzoni memorabili o almeno questa la mia sensazione o forse non hanno avuto il tempo di entrarmi sotto la pelle. Di fatto ne sono uscito con un gran desiderio di riascoltare i Led Zeppelin. Solo grandi affabulatori, dunque? Per scoprirlo vado a conoscerli meglio su You Tube:
26 ottobre 2008
GRANDI AFFABULATORI
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anamorfo
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UNA STRADA VERDE PER IL (NON)CINEMA
Ieri Bari ha partecipato ad un evento epocale, ancora in progress: il progetto di film enciclopedico "Le 92 valigie di Tulse Luper" mostrato in forma di vjing ed introdotto da due giorni di seminario. Registro qui alcune mie riflessioni sull'incontro con Greenaway.
Il cinema del futuro non è quello sognato dal cinema. O almeno: quello che Peter Greenaway ci mostra come il cinema del futuro non è quello che il cinema ha sognato per se e in cui ha sognato di perdersi e reinventarsi. Ieri Peter Greenaway lo ha anche citato ma, a mio parere, in modo improprio; Godard: "il cinema è la verità a 24 fotogrammi al secondo". Quello che invece Greenaway persegue non è la verità ma la rappresentazione. Come indicato anche da Rohmer, il cinema è tale sino a quando non si trasforma in arte. Parafrasandolo, quella di Peter Greenaway è arte e quindi non è cinema. D'altro canto lui ha probabilmente ragione di dire che è questo il cinema del futuro e, paradossalmente, ha anche ragione a dire che il cinema non è mai nato. Ancora Godard che cita i Lumiere: il cinema è una invenzione senza futuro! Ma cosa è allora il cinema o forse cosa il cinema ha sognato di essere? Esattamente quello che Peter Greenaway ha indicato come sua insufficienza ossia il disposito occulto della caverna platonica, il mondo delle idee materializzato. Il dispositivo illusorio del cinema, il suo nascondere se stesso e colpire alle spalle e al buio lo spettatore: questo è il cinema! Molti passatisti ieri hanno contestato Greenaway in nome dunque della Sala e della sua socializzazione. Avevano torto. Per due ragioni. La prima è che il dispositivo cinematografico, ha ragione Greenaway a dire che, vive nel rapporto 1:1 che instaura con lo spettatore al buio, avvolto nel grande schermo. Insomma: il grande schermo non è grande per farci stare tutti insieme bensì per avvolgere lo spettatore e abbracciarlo. Come già scritto da Rohmer, il cinema è una forma illusioria di realtà vituale e, aggiungo io, non a caso noi ne raccontiamo (falsamente) la nascita con la storia degli spettatori impauriti dal treno che li investiva e usciva dallo schermo. Quella storia è una favoletta inventata da un giornalista per rendere più saporito il suo pezzo di cronaca. In realtà quel giornalista raccontava la verità molto più di quanto ne fosse consapevole. Quel resoconto falsato racconta ancora oggi quello che tutti in quel momento hanno sperato di poter vivere (e non a caso scrivo vivere e non vedere)! Nessuno ha realmente pensato che quel treno fosse vero ma tutti hanno giocato a crederci perché quella era l'aspettativa, il desiderio. Sull'ingenuità che un apparato visivo possa trasportare la realtà da luogo a luogo possiamo oggi discutere ma tale ingenuità ha fondamenti neurofisiologici. Non mi dilungherò ora su questo. Di certo il cinema ha inseguito tenacemente questo progetto e per questo Rohmer giustamente dice negli anni '60 che il futuro del cinema, quello che ogni vero cineasta avrebbe dovuto augurarsi, era nell'ologramma. Anche lui, contro una generazione di esteti passatisti, combatteva coraggiosamente l'opinione corrente per il suo tempo che l'olografia e la tecnica del cinema come arte dell'illusione fossero il nemico del cinema inteso come forma d'arte. L'argomento principe era che l'ologramma avrebbe distrutto il linguaggio cinematografico, il punto di vista privilegiato e il taglio dell'inquadratura, facendo tornare il cinema ad una forma di teatro surrogato. Allo stesso modo, in passato, negli anni '30, gli autori si erano opposti al sonoro. Entrambe battaglie sbagliate! Il cinema vive nella forma illusoria di riproduzione della realtà e nell'esperienza illusoria dell'altro. Non è una forma figurativa di rappresentazione ma verità ed esperienza, finestra sul mondo e al contempo il mondo stesso reinventato e riprodutto come esperienza. Quindi il cinema, ce lo insegna Chion, non è mai stato realmente "muto" ed è diventato sonoro appena ha potuto, così come ieri sarebbe diventato senza reticenza ologramma se fosse stato reso possibile ed oggi virtuale, se la tecnologia seguisse un decorso logico. Cosa che non é. Tornando ai passatisti di oggi, che pensano alla Sala come luogo di resistenza del vero cinema, ho detto perché il grande schermo non serve a creare una comunità bensì ad avvolgerci. Non vi è quindi una funzione di socializzazione ma un dispositivo che vuole portarci altrove. Questo altrove è il cinema, l'esperienza dell'altro. La storia che il cinema fosse già nato prima dei Lumiere con Edison è una grande sciocchezza. Prima dei Lumiere erano decenni che si inventavano apparati per la riproduzione del movimento e dell'immagine fotografica in movimento. Questi macchinari avrebbero potuto aver successo ma erano cosa diversa dal cinema perché non prevedevano la Sala bensì una visione meramente oculare. La Sala invece ha consentito che il Treno uscisse dallo schermo ed investisse il pubblico in platea. Questa è l'invenzione del cinema! Film chiave quindi per comprendere cosa il cinema abbia sognato per il suo futuro è infatti un film che esce nell'anno del centenario del cinema e che racconta il capodanno del nuovo secolo in questa chiave: si chiama "Strange Days". Il cinema nel film della Bigelow è un dispositivo individuale, una calotta cranica da indossare per vivere totalmente l'esperienza virtuale di un'altra vita! Questa è "la verità a 24 fotogrammi al secondo" di cui ci parla Godard, non altro. Per queste due ragioni (finalità del dispositivo e rapporto con lo spettatore) chi invoca la Sala come antidoto socializzante ha torto. Ha torto però anche Greenaway a pensare che il suo cinema sia la nuova stagione del cinema. E' invece altra cosa dal cinema, è la vittoria della rappresentazione sull'illusione. Un conflitto che attraversa tutta la storia dell'arte occidentale, l'unica credo che abbia cercato di costruire apparati illusori e prendere il pubblico per lo stomaco prima che per l'intelletto. Solo che i percorsi della storia non seguono linee logiche. Non la realtà virtuale è entrata in gioco a subentrare al cinema bensì il dvd, i'interattività, internet, i cellulari ecc ecc. Probabilmente ora dovranno passare molte centinaia d'anni prima che un'invenzione faccia rinascere il cinema e non accadrà più per una diretta filiazione. D'altro canto, è dal 2001 (senza Odissea appunto) che sappiamo che la realtà ha finito di anticipare i sogni dell'uomo, la corsa verso il futuro era finita! Il Cinema e la Letteratura erano (non "sono" perché oggi non ci provano nemmeno più e parlano solo al presente o al passato) tornati a correre più veloci di essa ma negli ultimi tempi spesso sbagliare rotta. Niente viaggi oltre Giove e il tempo! Le nuove generazioni non l'hanno nemmeno sognato il futuro. E dopo Kubrick anche quei cinque anni d'anticipo sull'anno 2000 di "Strange Days" hanno confermato che il nuovo secolo non ci donerà grandi novità. Il futuro è quello che ci ha mostrato Greenaway e non la Bigelow. Non inizia con gli esperimenti di rapporti sessuali tra uomini calati in tute e caschi da realtà virtuale (ricordiamoci che la pornografia è sempre l'avanguadia del rapporto tra uomo e macchinari del gioco) bensì nel telecomando di un televisore che gestisce multicanali e reti contemporaneamente. Per Greenaway il futuro digitale del cinema è iniziato infatti con il telecomando. Ha ragione ma questa è la sconfitta del cinema. E' anche vero che chi ha lavorato sul crinale della crisi del cinema, ossia i grandi autori del passato prossimo, Rossellini, Godard e Fassbinder, abbiano non a caso visto nella televisione il mezzo più idoneo per continuare. Tutti costoro avevano però rinunciato all'illusione e scelto il rapporto critico con lo spettatore, l'impresa enciclopedica e la saggistica piuttosto che la narrazione e il trasporto. Però tutti e tre lo fanno perché trovano esaurita la capacità dell'illusione di trasmettere verità ed esperienza dell'altro. Occorre che lo spettatore si fermi a guardare e per farlo occorre svegliarlo dal torpore che l'illusione come macchina dello spettacolo produce in lui. Come ci insegna Herzog, occorre guardare quello che il disposivo cinematografico coglie quando è dismesso e fuori controllo, quando resta acceso e si mette a registrare senza controllo la realtà, appunto come una finestra sul mondo. Greenaway, al contrario, ha completamente abbandonato tale intenzione. Da artista figurativo quale egli è, usa il cinema come codice e costruisce artefatti che non sono nemmeno più dei film. La grandezza dell'opera di Greenaway l'ho capita solo ieri nel momento che non si è proposta come opera filmica ma come opera multimedia. Lo ha detto lui stesso che Tulse Luper a cinema non ha funzionato perché non è più lo strumento idoneo. Altre forme come il set di vjing lo sono. Il limite dell'opera di Greenaway è proprio il ruolo che egli lascia svolgere, in queste opere, alla narrazione. Egli tende ad escluderla e renderla una cronaca, un esercizio di cronaca o di storia, dove "esistono gli storici e non la storia". Eppure i grandi esempi di opere enciclopediche del passato da lui citate, come Dante, Shakespeare e Le Mille e una Notte, contengono invece storie che non si fermano alla collezione. Quello che abbiamo visto ieri a Bari non era invece una Enciclopedia ma il suo Indice Analitico. Non sono la stessa cosa. Da spettatore del futuro di questa televisione, interattiva multicanale e multidisposivo, voglio cliccare io su un link-immagine per farmi raccontare la storia che essa custodisce. In questo non so se Peter Greenaway si sia accorto di un limite paradossale del suo discorso. Egli sapientemente ci ha spiegato come il cinema non sia mai stato realmente narrativo anche quando ha pensato di esserlo: chi si ricorda la trama di "Citizen Kane", di "Casablanca" ecc ecc.? Nessuno, si e no una frase per spiegare la trama e poi non ci resta altro da raccontare. Perché allora indicare il suo percorso come antinarrativo? Al contrario se la sua impresa avrà successo e se lui ambisce ad essere il Dante del ventunesimo secolo, egli dovrà finalmente riempire il suo (non)cinema di narrazioni. Ma come lui stesso ha detto: quello che ci rimane di "Casablanca" non è la sua narrazione ma una sorta di atmosfera, di ambiente virtuale aggiungo io. Ed è quello che il suo (non)cinema del futuro non ambisce a fare. Questo il limite sui cui la sua impresa frana! Dentro la pagina di Dante ci si perde, dentro la scena di Shakespeare ci si perde, di fronte ad un quadro di Velazquez invece ci si incanta. Ci si può chiedere quale storia nasconda una lettera poggiata sul tavolino ma non è la stessa cosa che poterla realmente leggere, ascoltare o vedere. I grandi affreschi delle Chiese sono invece opere nate con l'intento di impaurire il fedele o di suscitare in lui un sentimento di trasporto. Esse però per compiersi avevano bisogno di grandi oratori, di sermoni e prediche che facessero vivere i personaggi negli affreschi, che facessero loro prendere forma e che facessero impaurire il pubblico dei fedeli, raccontando loro le storie della Bibbia. Nell'opera di Greenaway manca proprio il pulpito. Ma non è il telecomando ad averlo distrutto, l'arte consiste infatti nel farci fermare ad ogni cambio di canale, con la responsabilità di decidere su quale. Potrebbe così ancora accadere di incontrare l'immagine in una donna in attesa del raggio verde. Perchè il cinema non è morto ma è sconfitto, la morte non esiste, tutto rinasce se è un sogno, e il sogno del cinena vive nell'attesa di una nuova tecnologia e di un nuovo tempo. Questo tempo non è infatti il suo perché il Raggio Verde non è sulla Strada Verde del (non)cinema del futuro presente di Greenaway. Resta quello indicato da Rhomer.
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20 ottobre 2008
IL CINEMA ABC, PER L’APPUNTO...
La città di Bari ha un debito con il Prof. Mario Nuzzolese e si chiama Cinema ABC. Il suo stato d’abbandono, è inutile negarselo, rende più doloroso il lutto per la scomparsa del suo ideatore e fautore. Voglio essere estraneo alla retorica commemorativa, quindi dirò subito che per la mia generazione il Prof. Nuzzolese è stato spesso un avversario, un ostacolo. In anni di spontaneismo e movimentismo l’esercizio cinematografico si sentiva minacciato dalla nascita dei cineclub e dei circoli privati e Bari, tra questi, ebbe invece un’eccellenza che si chiamava Cinestudio, luogo privilegiato in Italia insieme all’Obraz di Milano per la distribuzione indipendente del nuovo cinema tedesco, l’unico in città dove si potesse proiettare il cinema underground di Alberto Grifi o un Super-8 sconosciuto e fuori da ogni circuito intitolato “Io sono un autarchico”, un luogo a cui anche il mondo del jazz pugliese deve tanto, avendo consentito, per esempio, l’incontro di Magliocchi e Ottaviano con Steve Lacy. Un esempio di politica alternativa e indipendente che proprio nel Professore ebbe un oppositore. Eppure la sua risposta, ed è stata questa la sua grandezza, fu quella di chiamare gli stessi esercenti di Puglia e Basilicata a creare una Sala destinata all’uso non commerciale: il Cinema ABC per l’appunto. Ed il merito di quest’impresa è di aver garantito a Bari quello che quasi mai riescono a dare le iniziative di movimento: la durata. Quello che sicuramente il Professor Nuzzolese non tollerava era infatti il vuoto: il vuoto di iniziativa, il vuoto di proposta culturale che l’assenza di un contenitore non può che generare. Potevamo dividerci sul chi e sul come mai sulla necessità dell’azione. Per me il Prof. Nuzzolese è l’immagine stessa dell’azione e della determinazione. Attento anche alla più piccola proposta, imparai subito che non potevo permettermi di non invitarlo e coinvolgerlo anche alla più modesta iniziativa, pena l’offesa. Per me presto la sua attenzione si trasformò in un onore e di questa stima non l’ho mai privato. Coinvolto in diverse occasioni sia nella gestione dell’ABC e della sua piccola cineteca, sia nelle iniziative dell’Agis Scuola, non posso dimenticare un viaggio di rientro da Brindisi in cui il Professore mi raccontava delle sue vicissitudini di guerra. La sua viva descrizione di cosa fosse un combattimento aereo aveva la stessa forza di un film girato in soggettiva. E’ in quel viaggio che alla stima ho aggiunto l’affetto; per lui e per quello che lui considerava come un figlio, il Cinema ABC per l’appunto. Credo che sia giunto il momento che della sua riapertura se ne faccia carico non solo l’AGIS ma la cittadinanza intera, e non solo di Bari ma di Puglia e Basilicata, e non solo attraverso le sue istituzioni ma anche in forme spontanee o raccogliendo quello che di vivo l’associazionismo culturale può proporre. La sua destinazione oggi non può che essere quella di un moderno contenitore extra commerciale, destinato quindi non a fare concorrenza all’esercizio cinematografico bensì ad affiancarsi ad esso con retrospettive e rassegne tematiche. Un luogo sia dove far incontrare il pubblico con un’offerta più ampia sulla cultura cinematografica, sia dove rendere visibile un lavoro sul territorio che raccordi gli archivi esistenti, da quello enorme della Cineteca Lucana ai tanti altri magari ancora da scoprire, oltre allo stessa cineteca dell’ABC. Due anni fa, proprio dentro il Cinema ABC promossi un’ampia rete di associazioni chiamata RECIDIVI e discutemmo a lungo anche un protocollo d’intesa con il Comitato di Gestione del Cinema. La rete è cresciuta e potrebbe trasformarsi in un soggetto interregionale. Al contempo nelle vicinanze del Cinema sta nascendo il Cineporto voluto dalla Apulia Film Commission e tutta l’area urbana circostante si sta riqualificando. E’ giunto dunque il momento di passare all’azione. E’ l’unico sentimento con cui mi sento di avvicinarmi oggi alle spoglie del Professore e rendergli omaggio.
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19 ottobre 2008
DIARY
Giù dal letto alle 9,30 - solo con i bambini - Dario è uscito alle 8 e torna alle 13,30 dagli Scout - Sformato di anellini con ricotta e pomodoro (ricetta siciliana con pasta comprata a Palermo in agosto) e ricotta di pecora in offerta a Dok - mentre si cucina pieghiamo e sistemiamo quanto riposto fuori e dentro il portabiancheria in armadio - risistemiamo il letto - doccia durante l'ultima mezz'ora in forno degli anellini - dalle 14 alle 17 pranzo, pulizia e rimessa in ordine di cucina e sala pranzo - MTV per tutto il tempo ma per buona parte un intero ciclo dedicato a Michel Gondry (grande!) - Alle 17,00 si lascia la lavastoviglie in funzione e si viene in Studio con i bambini, loro a studiare io a lavorare sui ritardi accumulati in settimana - ore 22,30 si torna a casa...
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17 ottobre 2008
PAGINE CHE SI RIAPRONO
Oggi su Facebook mi scrive una persona a cui sono molto legato. Non riesco a dire altro ma voglio solo appuntarmi questo momento per me di grandissima emozione. Si chiama Cecilia e chi la conosce sa di cosa parlo. L'ho persa di vista dal 1978 e mai più incontrata nemmeno causualmente o da lontano.
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08 ottobre 2008
BIFO BIFO 40 40
Delirante editoriale di Bifo in prima pagina di Liberazione. Fame, guerra e catastrofi di ogni natura ci libereranno dal capitalismo e quindi ben vengano. Dovremo solo imparare a "vivere di poco". Non solo è possibile ma si vive anche meglio. Nel frattempo pur chiedendo scusa corregge Marx: non solo il capitalismo non è una cosa ma è un rapporto bensì, a detta di Bifo, è un rapporto introiettato. Insomma il capitalismo è una attitudine mentale, pensare lo sfruttamento come cosa necessaria e naturale. Se smettiamo di pensarlo anche il capitalismo muore: alla faccia del materialismo! Non era stato Marx a spiegarci che sono le condizioni materiali di esistenza e i rapporti che si determinano a farci pensare in un modo o in un altro? Bifo non ha corretto Marx, l'ha demolito! E il nuovo mondo che annuncia nascerà dalla scarsità delle risorse, dalla fame e dalla incapacità produttiva. Attraversando guerre, razzismo e carestie. Come ogni romantico anche Bifo si augura il peggio ma per il bene dell'umanità. Non è che gli manchi qualche sana lettura? Voi cosa gli consigliate? E sarebbe questa la Rifondazione Comunista? Per non parlare del mare aperto dello stare al governo di cui oggi parla Luigi Quaranta nel suo editoriale per il Corriere del Mezzogiorno? Si può mai pensare di coniugare tali strumentazioni politiche con il chiedere la fiducia agli elettori per governare una Regione? Luigi Quaranta non crede nemmeno lui a quello che scrive, solo lavora per volerlo far credere a noi. E anche questo noi è tutto da discutere. Luigi Quaranta parla di un popolo di sinistra che finalmente vede realizzato il proprio sogno ma forse la platea era composta più da assessori e consiglieri preoccupati per il loro futuro prossimo perché non solo questo messaggio io non credo che sia mai giunto al "popolo di sinistra" ma quando è stato tentato è stato anche rifiutato. Si veda la sconfitta di Veltroni e linee editoriali, come quella di Liberazione, che sanno di far contento il proprio "popolo" parlando vecchi linguaggi anticapitalisti. Io di certo preferirei dedicarmi al buon governo e non in senso miseramente etico ma come politica del fare e del riformare, quando serve. Il problema è che nessuno sta pensando di farlo, né a sinistra né a destra, né in Italia né in Puglia, né Emiliano né Vendola. Altrimenti avrebbero preso il coraggio tra le mani e parlato al loro "popolo" con onestà riformatrice. E soprattutto avrebbero dato prove migliori di se! E se queste prove sono state compromesse dagli apparati dei partiti avrebbero chiesto oggi al "popolo" di sostenerli, instaurando un rapporto fiduciario diretto che invece entrambi hanno negato, pur essendoci nelle primarie e nella primavera pugliese che li ha sostenuti tutte le premesse. E non è certo un felice dibattito tra D'Alema e Vendola alla ex Festa dell'Unità oggi ribattezzata non so come a dimostrarci(mi) il contrario, caro Quaranta.
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29 agosto 2008
L'AMERICA REALIZZA I SUOI SOGNI
Avevano un sogno. E dopo 45 anni l'hanno realizzato. Sono cresciuto con le immagini terrificanti delle rivolte nere negli USA. In casa le liti politiche tra padri reazionari e zii progressisti erano sempre su questo: i neri d'America. Simbolo della rivolta. testimonianza di un'America che non meritava alcuna fiducia, razzista e orribile. Il mio antiamericanismo si è imbevuto da adolescente innanzitutto di questo. Dopo si è cresciuti e il mito del pastore buono non poteva che essere sostituito dalla terribile X del ribelle, che incarnava rivolta e dava fuoco agli animi di chi con coraggio la praticava. Gli altri erano tutti Zio Tom.
Dopo 45 anni quel pastore buono ha vinto! Ha stravinto, rimettendo a noi tutte le nostre colpe. Chiarissime le parole del suo erede Obama: da quel palco 45 anni fa potevano venire parole di rabbia, tutti coloro che erano accorsi per ascoltarle le avrebbero recepite come giuste e ascoltate con piacere e invece vennero parole di unione e di speranza, il sogno americano che è di tutti e non contro alcuni. Quel sogno ha vinto! I nostri sono tutti falliti, da Mosca a Pechino, da Cuba al Vietnam.
Forse anche per questo da noi non si ha il coraggio di entusiasmarsi per le parole di Obama. Si fa finta che sia quasi ovvio quello che accade oltre oceano e non lo è affatto. Che tristezza!
A chi non è sordo consiglio di sintonizzarsi sul canale 100 di Sky e ascoltare il discorso di Obama. 45 minuti dopo 45 anni che danno ragione di un sogno che oggi è promessa concreta. Grazie America!
16 luglio 2008
SOTTO LA DOCCIA...
Comodo, nella mia doccia, il tubo flessibile che collega l'erogatore alla presa dell'acqua! Però non è esteticamente un granché... Visto l'orgoglio che ci ho messo nel disegnarmi ogni angolo della casa provo non poco fastidio per le docce degli amici che senza tanto pensiero, per merito di un architetto o del negoziante, hanno erogatori che sono dischi volanti, oggetti di design ecc ecc. Eppure... io resto convinto che è bello solo ciò che si dimostra utile al meglio. Con il mio tubo flessibile io posso sciacquarmi in ogni parte del corpo, levarmi la sabbia dai piedi e tutto il resto. I bambini possono scendere l'erogatore alla loro altezza e la bambina può piegarsi e lavarsi i capelli al meglio. Diversamente avremmo un bel getto dall'alto e null'altro. E sulla qualità del design ho i miei dubbi. Tra qualche anno il disco largo e piatto degli erogatori oggi di moda saranno solo indice di vecchiaia e la moda provvederà a farli sentire inadatti e desueti. E' questo un valore estetico? E' questo il valore del design? Devo concludere che l'estetica è dunque subordinata all'etica. Non ho dubbi: è questa la mia conclusione. Con un'importante eccezione: quando ciò che è bello riesce a negare ogni subordinazione alla funzionalità d'uso diventa gesto estetico assoluto, ossia dialettica negativa, etica raddoppiata e capovolta. L'oggetto inutile come supremazia etica, per l'appunto, tanto quanto l'oggetto utile è supremazia dell'estetica. Dialettica hegeliana o logica kantiana? Nel primo caso l'Etica trova se stessa solo dopo essere stata negata da quanto non misurabile e sovrano su di lei: l'oggetto e il gesto inutile e vano. Lo stesso accadrà all'Estetica con l'utile in un movimento dialettico che trova ragione solo nella negazione. Viceversa se ci trovassimo di fronte ad una dualismo kantiano, dovremmo concludere che è Etico ciò che è fine a se stesso e non utile mentre Estetico è solo ciò che si dimostra funzionale. Sarà questo un mio oggetto di riflessione.... sotto la doccia.
24 giugno 2008
GLI ATTORI “RECIDIVI” DI UN RESTAURO
“Idillio Infranto” fu restaurato con tecniche tradizionali nel 1996, in occasione del Centenario del Cinema, per iniziativa del Comune di Bari e grazie soprattutto alla sensibilità dell’allora Assessore alla Cultura, il Prof. Domenico D’Oria. Il film non lo si conosceva se non per un telecinema in VHS pericolosamente azzardato dagli eredi, affidatesi per inesperienza ad un Centro di noleggio video locale. Per anni, questo VHS è stata l’unica fonte d’informazioni sul film. Oggi può testimoniare lo stato di conservazione dell’originale prima della sua rigenerazione. Il film era infatti riemerso, qualche anno prima, da una cassapanca in una Villa ai confini del paese di Acquaviva delle Fonti, nella Murgia barese. Uno storico locale, Sante Zirioni, ne aveva recuperato la memoria contro le resistenze del suo stesso artefice, ancora in vita, Orazio Campanella. Dopo la sua scomparsa, nel 1986, il film finisce nelle mani premurose del nipote Franco Milella che rotti gli indugi ne promuove la riscoperta, aiutato da Tommaso Lapegna e dalla TRANSTV, un piccolo centro di produzione indipendente, con cui quest’ultimo collaborava da anni, attrezzato con una Sala Posa in Adelfia, a quindici chilometri da Acquaviva delle Fonti. Il centro era diretto dalla mia persona e alla sua chiusura molti dei suoi protagonisti si costituirono, insieme a me, come Associazione Culturale, portando a termine il lavoro di recupero e promozione di questo film ritrovato.
“Idillio Infranto” risultò presto essere il primo film girato in Puglia. Non si trattava di un documentario o di repertori di un amatore. Girato nel 1931 era un vero tentativo d’impresa cinematografica: “Apulia Cine” il nome della Società. Il fatto che fosse rimasto nascosto sessant’anni in una cassapanca per riemergere proprio a ridosso del centenario del cinema contribuì non poco a farne un oggetto metaforico: “L’Idillio Infranto tra il Cinema e la Puglia” titolò felicemente il primo articolo apparso sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” con la firma di Oscar Iarussi, che ripubblicava tra l’altro anche quello del 1987 di Sante Zirioni sul quotidiano “Puglia”.
Nel frattempo, con il prezioso VHS tra le mani, per un decennio si è cercato invano il sostegno delle istituzioni locali, in primis della Mediateca Regionale. Testimone di questi tentativi fu proprio l’allora Direttore della Mediateca Regionale, Alfonso Marrese. Paradossalmente una delle prime Regioni a dotarsi di una Mediateca e di una Legge Cinema (presto abbandonata) perse questa rara occasione proprio mentre negli stessi anni in tutto il mondo nasceva una nuova sensibilità verso il restauro cinematografico ed il ruolo che possono avere gli Enti preposti alla conservazione. Il ritardo di iniziativa era infatti generale, sia nazionale sia mondiale, e la Puglia perse solo l’occasione di mettersi al passo con i maggiori centri cinematografici. Persino gli americani arrivarono ad una sistematica iniziativa di restauro solo in quegli anni. Mentre noi in Puglia si riscopriva e si proponeva il restauro e la riedizione di “Idillio Infranto”, nel mondo stavano infatti nascendo Istituzioni per la promozione e il sostegno agli archivi cinematografici e al restauro dei film. La più famosa è la Film Foundation creata da Martin Scorsese nel 1990, a cui aderirono come soci fondatori Kubrick, Lucas, Spielberg, Coppola, Pollack e Allen. “Salvare il primo secolo del cinema è il nostro grande compito” scrive Scorsese nel 1993 perché “quando le future generazioni si domanderanno incredule perché loro hanno permesso che così tanto andasse distrutto, quel loro siamo noi”. In Italia, intanto, nel 1995 vengono censiti da Giacomo Martini 52 centri di conservazione del patrimonio filmico. Da notare che in questa mappa a sud di Roma vi sono solo tre Enti e due di questi sono in Puglia, a Bari: la già citata Mediateca della Regione Puglia e il Centro Studi ABC dell’AGIS Puglia e Basilicata, anch’esso da noi coinvolto per il restauro del film nella persona del suo promotore e ideatore il Prof. Mario Nuzzolese. Singolare per altro che da quest’elenco manchi quella che oggi in termini di patrimonio filmico può essere considerata uno dei più importanti archivi europei, la Cineteca di Oppido Lucano. Infatti questa struttura muoverà i suoi primi passi anche lei nel 1995, con il centenario del cinema. Riepilogando: la Puglia riscopre il suo primo film andato perduto ed avrebbe gli strumenti istituzionali per operare, meglio che in altre Regioni d’Italia; la Basilicata vede iniziare un’impresa di conservazione d’eccellenza in Europa. Segnali ambigui che da una parte mettono le nostre Regioni al passo con un movimento di scala mondiale ma che al contempo non trovano politiche di sviluppo adeguate e ci fanno perdere, ancora una volta, il “treno”. Negli stessi anni un Cineclub di Bologna grazie alla sinergia con l’Università e altre infrastrutture regionali farà nascere la Cineteca di Bologna, una struttura che del restauro farà non solo una suo compito primario ma anche un patrimonio commerciale grazie ad un’attenta politica di marketing territoriale. In Italia vi sono anche altre eccellenze e non sempre legate alle grandi istituzioni nazionali, quali potrebbe essere il Museo del Cinema di Torino che aspetterà ancora un decennio per essere rilanciato nei modi oggi conosciuti. Invece, già nel 1984, la Cineteca del Friuli di Gemona aveva iniziato un’azione pionieristica, dedicandosi proprio al cinema muto grazie ad un accordo con un piccolo laboratorio di Roma, lo Studio Cine, lo stesso dove, nel 1995, portai per il restauro il nostro “Idillio Infranto”.
A testimonianza di come si debba attendere il centenario del cinema per parlare di restauro v’è la stessa vicenda della Cineteca Nazionale. Essa deve attendere il 1994 per vedersi assegnare da una Legge nazionale il compito di conservare e restaurare il patrimonio filmico nazionale. La Cineteca Nazionale esiste dal 1931, lo stesso anno in cui in Puglia si realizza “Idillio Infranto”, ma nasce come Archivio di film per il Centro Sperimentale. Solo nel 1949 diventa titolare del deposito obbligatorio dei film nazionali ed è solo allora che viene citata con il nome di Cineteca Nazionale in un articolo di legge (art. 33 L 958 del 29/12/1949). “Idillio Infranto” nel frattempo è già stato riposto nella cassapanca e la sua distribuzione, tentata solo nel 1933, non ha avuto seguito. In quegli anni il Regime Fascista riforma radicalmente il cinema italiano, spostando su Roma la produzione nazionale e facendo nascere Cinecittà e il Centro Sperimentale ma al contempo reprimendo le esperienze regionali come quella napoletana. Il Regime Fascista non censura, favorisce la nascita di un cinema commerciale di intrattenimento, favorisce lo sfruttamento commerciale del cinema americano in Italia e non vede invece di buon occhio l’uso propagandistico del cinema che alcuni giovani cineasti vogliono emulare dall’esperienza “realista” sovietica, primo fra tutti Alessandro Blasetti con il perduto film muto “Sole”, autore di accorate lettere al Duce perché si chiudano le frontiere al cinema americano e si produca un cinema nazionale e popolare. Il Duce non lo ascolterà e l’unica repressione censoria portata a termine dal Regime è contro la più prolifica esperienza produttiva in Italia agli albori degli anni ‘30, quella partenopea appunto, che vive di melodrammi costruiti sul successo delle canzoni napoletane. Esportano i loro film in America dove gli italoamericani sono già un grande mercato. Il Fascismo decreta la fine di questa industria con il pretesto che non è in “lingua nazionale”. Un’esperienza indipendente e regionale (e non a caso, quindi, anche di impianto “realista”) come quella di “Idillio Infranto” non ha più spazio per potersi sviluppare, anche per il passaggio al sonoro che negli stessi anni avviene in Italia. Portare il film, nel 1995, alla Cineteca Nazionale significò consentire che la stessa lo catalogasse come ultimo film muto italiano (Vittorio Martinelli “Il Cinema Muto Italiano – i film degli anni venti. 1924-1931” Biblioteca di B&N Nuova ERI – CSC, gennaio 1996), facendolo quindi uscire da un oblio storiografico durato oltre sessanta anni. Si pensi però che soltanto un anno prima, nel 1994, la Cineteca Nazionale aveva ottenuto finalmente il tanto atteso strumento legislativo per poter intervenire con decisione sul fronte del restauro, la Legge 153 del 1/3/1994. Dopo ben 63 anni dalla sua istituzione, l’articolo 21 di questa Legge conferisce finalmente alla Cineteca Nazionale il compito di procedere “alla raccolta, al restauro e alla conservazione” del patrimonio filmico nazionale. Premessa fondamentale perché questo possa avvenire è quanto sancito dall’articolo successivo al punto 3, ossia l’obbligo di depositare in Cineteca non semplicemente una copia del film (quasi sempre la prima prova di stampa, ossia la peggiore!) bensì il negativo del film stesso. E’ questa la premessa fondamentale per una reale politica di conservazione del patrimonio cinematografico ma si è dovuto aspettare un secolo. Oggi ci sarebbero, in Italia, tutte le condizioni per una politica di sistema policentrico di enormi potenzialità, tuttora inespresse. Il restauro di “Idillio Infranto” vuole essere un contributo in questa direzione, almeno un’occasione per tornare a riflettere sulle possibilità di veder nascere una struttura interregionale anch’essa policentrica e di favorire un coordinamento nazionale del sistema archivistico.
Abbiamo visto come sia stato l’avvicinarsi del centenario del cinema ad accelerare in tutto il mondo le pratiche di conservazione e di restauro. Un processo di storicizzazione che segna la fine dell’età d’oro del cinema. Esiste infatti un’età dell’innocenza in cui non ci si cura di conservare perché non c’è idea della memoria in quanto non c’è idea dell’oblio. I primi avversari della conservazione dei film sono stati gli autori stessi. Il cinema nasce con la ripresa della realtà, come documentario si direbbe oggi, ma si sviluppa quando eredita l’arte della messa in scena e della drammaturgia. Da allora ogni film non vale più di una Replica e se ci si vuole dunque garantire lavoro per il futuro è meglio che un film venga distrutto cosicché lo si possa rifare. Autori e produttori sono da questo punto di vista uniti negli intenti. Ai secondi preme anche recuperare la pellicola al fine di riciclarla, riemulsionandola dopo aver tolto la gelatina. Tutto il patrimonio dei primi due decenni di cinema muto viene negli anni venti svenduto ai Laboratori che ne ricavano sali d’argento e nitrocellulosa. Gli stessi autori, quand’anche produttori dei loro film, come George Méliès, ricorrono senza scrupoli a questa pratica distruggendo le loro stesse opere. Lo stesso accadrà anni dopo con l’avvento del sonoro e poi ancora con il colore. Una sistematica opera di distruzione che si calcola abbia fatto perdere dal 90% al 75% del patrimonio filmico esistente negli anni venti e dal 70% al 40% per gli anni ’30, a seconda delle Nazioni. Ancora oggi, dove esiste una vera industria cinematografica, si tende a rifare film già di successo. Indipendentemente dal remake d’autore, l’industria tende a rifare film di diversa nazionalità o a riproporre copioni commerciali. E’ un segno di vitalità, occorre prenderne atto. La stessa pratica del restauro venne avvantaggiata dall’esito di un’operazione commerciale che trasformò il “repertorio” in un prodotto nuovo, da rieditare senza rispetto alcuno. E’ il caso del “Metropolis” colorato e rimusicato da Giorgio Moroder nel 1984. Colorazione del film e musica pop che trasformano l’espressionismo di Fritz Lang in linguaggio da video clip: il successo di questa operazione rese di colpo evidente che il “vecchio” cinema poteva diventare uno strumento per nuove operazioni commerciali, forse anche a basso costo. Eccoci di fronte ad un altro paradosso: il successo di un’operazione contraria ad ogni filologia del restauro ha aperto uno spazio nuovo per le politiche conservative e favorito l’interesse industriale e degli sponsor per il restauro dei film. Rieditare un film muto diventava un’operazione con esiti distributivi, non necessariamente al Cinema ma magari in Televisione. I palinsesti televisivi si riempirono negli stessi anni di repertori antichi e nacquero imprese che si dedicarono alla riedizione dei film. Ancora una volta è il pubblico a indirizzare al meglio questi investimenti. Per esempio, l’operazione “oscena” di colorare il cinema bianco e nero non ebbe per fortuna un buon esito commerciale mentre una grande richiesta di consumo televisivo si orientò verso il recupero delle opere originali. L’elettronica consentiva infatti un recupero più semplice e solo per grandi autori come Hitchcock si sono avuti cicli di proiezioni di suoi film restaurati su pellicole e reimmessi sul mercato della distribuzione cinematografica in Sala. In quegli anni si capirono già le potenzialità che l’elettronica poteva rappresentare per il restauro di una pellicola ma le tecnologie video erano ancora insufficienti a garantire quello che oggi si può ottenere con il digitale. L’immagine digitale ha costruito, in questi decenni di continui progressi, un ponte tra fotografia ed elettronica, oggi non più separati ma parte di un unico ciclo produttivo in qualsiasi lavorazione cinematografica. Così dalla prima stagione di restauri, iniziati negli anni ’80 e proseguiti per due decenni, si è giunti oggi ad una stagione del tutto nuova che si avvalla del digitale per operazioni un tempo ad altissimo costo, consentendo a tutti il ritorno dell’opera su pellicola. Senza dimenticare la qualità raggiunta dalla stessa immagine elettronica e la possibilità di distribuirla in Circuiti di Sale, evitando il costo di distribuzione della stampa e del trasporto della pellicola. Due potenzialità con una sola lavorazione. E’ quanto oggi accade con “Idillio Infranto” che dopo la rigenerazione del 1996 viene in questi mesi restaurato con tecnologie digitali presso il Laboratorio Technovision di Roma, a cura della Cineteca Nazionale. Operazione promossa dalla Teca del Mediterraneo della Regione Puglia con la sponsorizzazione del Club delle Imprese per la Cultura della Confindustria di Bari.
“Idillio Infranto” fu girato e stampato su pellicola al nitrato, facile ad esplodere anche per autocombustione. Il primo miracolo di cui meravigliarsi è che questa pellicola sia riemersa come sospesa nel tempo, ancora giovane. Le pellicole al nitrato, anche se conservate nei cellari refrigerati, hanno il destino segnato: prima l’immagine sbiadisce, poi l’emulsione diventa appiccicosa, la pellicola diventa molle ed esala odori acri, infine si trasforma in una massa compatta e diventa polvere. Appena la pellicola diventa molle il nitrato va distrutto perché diventa pericoloso. Basterebbero infatti i 40° di temperatura di una giornata estiva per farla esplodere e con una violenza tale da farle sviluppare anche 1700°. Nella cassapanca della Villa Campanella la pellicola si è invece conservata al meglio ma era quindi una bomba ad orologeria ancora non innestata. Oggi la pellicola è conservata finalmente presso la Cineteca Nazionale ma la cosa più urgente da farsi era dunque ottenere una copia del film, su pellicola di nuova generazione. Per farlo, nel 1995, si rigenerò con appositi bagni il positivo per ottenerne un controtipo negativo, questa volta in triacetato di cellulosa. Con questa operazione il film venne anche ripulito delle sporcizie che si erano accumulate sul nitrato e quindi fu possibile dal controtipo negativo stampare una nuovo lavander. È questa la copia che sino ad oggi è stato possibile proiettare nelle diverse manifestazioni in cui “Idillio Infranto” è stato presentato: una copia fedele del manufatto originale rigenerato. Solo che questo non è sufficiente per ridare vita ad un film, in quanto il film non è il manufatto ma la proiezione di un’immagine in movimento di cui il manufatto è solo la fondamentale premessa. La forma originaria di un film non è dunque custodita solo nel suo supporto ma anche nelle tecniche di fruizione dello stesso, quella percepita in Sala durante la proiezione. I proiettori di oggi non hanno né mascherini né ottiche che consentano di proiettare il fotogramma nelle sue proporzioni e integralmente. Il fotogramma di un film muto è esattamente al centro della pellicola, mentre oggi è spostato su un lato per consentire l’inserimento di una colonna ottica per il sonoro. Nessun gruppo ottico di un moderno proiettore cinematografico si trova quindi in asse con il fotogramma. Altro inconveniente è la velocità di proiezione. Solo con l’introduzione del sonoro si giunse allo standard dei 24 fotogrammi al secondo mentre per il cinema muto la pellicola veniva “girata” a mano e si può stimare una velocità approssimativa intorno ai 18 fotogrammi al secondo, con uno scarto dai 16 ai 20. Vi sono per il muto proiettori cinematografici a velocità variabile ma sono rari e costosi da noleggiare, indispensabili per le Cineteche e le loro manifestazioni ma non diffusi sul territorio. Ridare vita, quindi, ad un film muto deve voler dire renderlo nuovamente fruibile, senza quell’accelerazione dei movimenti a cui tristemente veniva associato, soprattutto in passato, per l’insana abitudine introdotta dalla televisione pubblica italiana di trasmettere il repertorio di Chaplin, Keaton e quant’altro alla velocità dell’immagine elettronica di 25 fotogrammi al secondo. Siamo a quel noto “effetto Ridolini” delle comiche del cinema muto che prendono il nome proprio dall’appellativo italiano di uno dei suoi protagonisti: Larry Semon. La comica accelerata è un’invenzione televisiva che ha a sua volta abituato il pubblico ad una fruizione distorta del cinema muto stesso. “Idillio Infranto” ha dovuto soffrire lo stesso disagio. Solo il restauro digitale ci consentirà di superarlo, ed è quanto sta avvenendo in questi mesi di lavorazione.
Il primo esame di una pellicola è tattile. A questo esame “Idillio Infranto” non risultava né cristallizzato né particolarmente aggredito dai fattori che solitamente il tempo comporta per il nitrato. Insieme al film io portai allo Studio Cine altri fondi cinematografici emersi sul territorio barese. Si trattava di 16mm colore degli anni ’40 e risultavano gravemente danneggiati, sbriciolandosi tra le dita. Il colore è quasi sempre fonte di gravi condizione di resistenza al tempo ed è da questa scoperta che nasce la passione di Martin Scorsese, il quale realizzò “Toro Scatenato” in Bianco Nero per protestare con la Kodak e per lanciare l’allarme. Quei fondi della famiglia Gargano di Adelfia, come i fondi Di Ciaula del Comune di Fasano attendono ancora il nostro intervento, ed essendo a colori sono, anche se più recenti, più gravosi e difficili. Lo stesso si può dire per l’archivio di centinaia di pellicole del Centro di Cultura Cinematografica Cinematografica - Cinema ABC che, insieme a Domenico De Orsi dell’Associazione TRANSTV, ho avuto modo di esaminare e in parte catalogare e ripulire nel 2006. Tutte pellicole tra gli anni ’60 e ’70 con i colori irrimediabilmente danneggiati mentre, anche in questo caso, a salvarsi sono i repertori dei cinegiornali perché in bianco nero. Abbandonato il nitrato, negli anni ’60 si produsse infatti una pellicola non più soggetta a restringimento e priva di nitrocellulosa, il Safety in acetato. Nel 1980 Martin Scorsese lancia l’allarme contro questa pellicola ma nel frattempo la Federazione Internazionale delle Cineteche (FIAF) negli anni 70 aveva promosso la trasposizione da nitrato ad acetato del patrimonio filmico. Una rincorsa dunque senza fine. Nasce finalmente il triacetato, ancora utilizzato per i negativi ma oggi affiancato dal poliestere per le pellicole positive destinate alla proiezione, vista la resistenza di questo all’usura e alla trazione. La pellicola di proiezione di “Idillio Infranto” è invece un nitrato della gloriosa Ferrania mentre il negativo di partenza è Zeiss Ikon. Una scelta oculata per quel tempo, in termini produttivi, perché si tratta di una pellicola particolarmente economica e molto versatile. La Apulia Cine di Acquaviva delle Fonti la ordina dalla Germania, da Berlino, probabilmente insieme a qualche repertorio filmico visto che il nitrato ritrovato nella cassapanca era custodito dentro scatole con l’etichetta UFA, il noto Stabilimento dove si producevano i capolavori dell’espressionismo tedesco. Segno di una probabile volontà di abbinare all’attività produttiva anche una di distribuzione o di cineclub. Tra gli scarti del film si sono infatti ritrovati anche alcuni metraggi di nitrato virato con comiche di varia produzione nazionale. L’analisi manuale e su tavolo passa film dei repertori consente dunque di accedere ad una somma d’informazioni capace, se integrati da analisi critica e storica, di raccontarci l’impresa stessa, valutandone il grado di improvvisazione, gli apporti professionali e gli intenti imprenditoriali o amatoriali. Questa analisi è tutt’ora in corso per “Idillio Infranto”.
Nella produzione del muto i film vengono montati nei reparti positivo e non come oggi in negativo. L’originale di partenza di “Idillio Infranto” si presenta in questa forma: come una somma di tagli di positivi, con i cartelli invece inseriti direttamente da negativo per risparmiare la stampa. E’ la prassi del cinema muto. Non presenta invece alcuna forma di colorazione e viraggio. Accorgimento tipico del muto e funzionale anche a migliorare il fissaggio. Quest’ultimo è stato eseguito comunque in modo magistrale da Raoul Perugini, l’operatore del film di cui in questi giorni stiamo finalmente riuscendo a trovare nuove e più solide informazioni. Fissaggio perfetto dunque ma oltre al rischio di rapido degrado della pellicola il nitrato presenta un altro grave problema: il restringimento della pellicola. La distanza tra le perforazioni si accorcia e la pellicola non è possibile passarla in macchina, né per proiettarla né per un telecinema. Per digitalizzarla occorre ricorrere al solo scanner, di costi sicuramente più elevati. Per fortuna “Idillio Infranto” non presenta nemmeno gravi forme di restringimento, nemmeno dopo altri dodici anni dalla sua rigenerazione del 1996. Questo particolare ha reso possibile, con le dovute precauzioni, il passaggio in macchina, per la digitalizzazione, dell’originale su nitrato e non della copia in triacetato del 1996. Insieme a questo sono passati al telecinema tradizionale (ossia la copia da un cineproiettore ad un videoregistratore passando da una telecamera), senza rigenerazione, anche tutti gli scarti di lavorazione trovati insieme al film, con scene doppie, scene tagliate ma soprattutto con nuovi repertori che gettano nuova luce sulla Apulia Cine fondata da Orazio Campanella e che meglio ci consentiranno anche di valutare quali scelte fare nella riedizione dello stesso film. Tutto il fondo cinematografico della Apulia Cine è stato digitalizzato. La visione di questo materiale aggiunge profondità all’analisi puntuale iniziata già sul tavolo passa film.
Molte le lavorazioni possibili in digitale. Occorre anche averne una misura perché speso vanno molto oltre le possibilità di controllo che con le tecniche del 1930 si potevano avere sul processo di stampa. Il grosso del lavoro un tempo avveniva in fase di ripresa mentre oggi è in postproduzione che il controllo si è fatto più raffinato. Restaurare un film con il digitale vuol dire finalmente chiedersi quali intenzioni si ponesse l’autore dell’opera di raggiungere, nella consapevolezza di compiere sempre un’operazione arbitraria ma sapendo che se il manufatto è salvo il processo è sempre reversibile. Non è cosa da poco! Per il resto si tratta invece di operare con minori costi quello che già si faceva prima con il ritocco su pellicola ossia le correzione di graffi, macchie, spuntinature, abrasioni e, nel caso di “Idillio Infranto”, soprattutto di righe. Il grande vantaggio del digitale in queste lavorazioni di ringiovanimento è che nelle parti in cui la pellicola s’era iniziata a gonfiare e deformarsi, l’elaborazione digitale dell’immagine consente, per esempio, di allineare non i fotogrammi bensì il loro contenuto, ridando fluidità naturale alla scena. Gli interventi possibili sono tanti e sono scelte da operare in funzione anche del budget disponibile ma nel caso di “Idillio Infranto” si parte da un nitrato che non ha conosciuto un gran numero di proiezioni, come sempre accade, al contrario, quando si restaura un capolavoro del cinema. L’importante è capire la resa fotografica di una trasposizione pur sempre elettronica. Il processo potrà dirsi concluso solo con il check-print, che ne testimonierà l’esito qualitativo. In pratica il film tornerà nuovamente sulla pellicola 35mm. ma come se fosse stato prodotto con gli standard di proiezione di oggi. La scansione dei fotogrammi sarà infatti a 24 fotogrammi al secondo. Vi sono due metodi per giungere grazie al digitale a questo risultato. La prima è di far disegnare al computer i fotogrammi mancanti. Non sempre è la tecnica migliore. Può produrre risultati spiacevoli aumentando lo sfarfallio nei movimenti della macchina da presa e rendendo più fastidioso il naturale pompaggio della luminosità di un film muto. Per “Idillio Infranto” si è scelto invece di utilizzare lo scratching che non “disegna” fotogrammi intermedi bensì duplica quelli esistenti, come già avviene da tempo nelle tecniche di animazione per economizzare il numero di fotogrammi da disegnare. In pratica, non abbiamo inventato nessun fotogramma ma usato quelli del film per dilatarne il tempo di scorrimento.
C’è qualcosa che però manca ad “Idillio Infranto” e di cui non si è mai trovato traccia: la musica. Il cinema muto tutto era tranne che sordo. Esso era muto solo per la mancanza del parlato ma non per l’assenza di commento sonoro che veniva eseguito dal vivo. Quando la tecnologia consentì di registrare i suoni alcuni grandi registi del muto si rifiutarono comunque di associare il parlato ai loro film e continuarono ad utilizzare il sonoro come commento musicale. L’esempio più famoso è quello di Chaplin. Molti capolavori del cinema muto sono stati in questi anni riediti con le musiche originali un tempo eseguite dal vivo. Il digitale consente infatti di spostare il fotogramma senza tagliarlo, collocandolo nella sua posizione attuale e dando spazio alla colonna ottica. Nel caso però di “Idillio Infranto” non ci troviamo di fronte ad una colonna sonora composta per il film né tantomeno ad una registrazione d’epoca di queste musiche. Non è detto che non ci abbiano pensato e che non ci abbiano anche provato ma non abbiamo nessun elemento per poterlo valutare con certezza. In ogni caso l’idea di accompagnare il film con una musica originale venne, sin dai primi tentativi di promuoverne il restauro, allo stesso Tommaso Lapegna e da sempre la TRANSTV aveva pensato a Nicola Girasole per la sua composizione, vista la sua esperienza sia nella musica da camera sia nella musica per il teatro. Quando però nel 1995 si procedette realmente al restauro la domanda che mi posi fu in che modo a Bari e nella sua provincia il cinema venisse accompagnato. In un ritaglio di giornale non ancora identificato si annuncia l’accompagnamento del film con musiche originali ma nessuna partitura è mai comparsa sin ora. Non restava che indagare sulla storiografia locale e di fondamentale importanza fu un articolo di Vito Maurogiovanni sull’orchestra Esposito che a Bari accompagnava il cinema muto utilizzando per lo più i repertori. Altrettanto significative furono le chiacchierate (le definisco così per il piacere che si provava ad interloquire) con Vittorio Martinelli, storico insostituibile del cinema muto italiano purtroppo scomparso recentemente. E’ stato lui a indicarmi la strada del “cantante appresso” che soprattutto nella seconda e terza stesura delle musiche riscritte da Nico Girasole hanno avuto un peso determinante nella scelta di assecondare il desiderio del compositore di introdurre la voce umana e il canto. Vittorio Martinelli dopo anni tornò su questo argomento in un articolo sul quotidiano La Repubblica (in cui citava per altro “Idillio Infranto” come esempio) in cui si ricordava come partendo per il Nord America le pellicole del cinema muto napoletano viaggiassero con il “cantante appresso” essendo la loro colonna sonora essenzialmente fondata non sul pianoforte o sull’orchestra bensì sul bel canto del melodramma napoletano. “Idillio Infranto” è sicuramente debitore di questa tradizione ma al contempo se ne discosta con una grande modernità d’intenti. Il melodramma si piega dunque al realismo e ad una simbolica parabola morale. Le musiche dovevano essere capaci di cogliere anche questo tratto di crudo e disilluso realismo. Quindi orchestra di una decina di strumenti al posto del pianoforte o dell’orchestra sinfonica, uso della canzone come nella tradizione napoletana, scrittura musicale moderna, non incline al melò in sé ma giocata sul piano della citazione. Tutte scelte che comunque segnano il passaggio dal semplice restauro del film alla sua riedizione.
Rieditare “Idillio Infranto” per me e per l’Associazione TRANSTV vuole dunque essere un punto di partenza per iniziare anche in Puglia, magari concertando un’azione congiunta con la Regione Basilicata e il patrimonio della Cineteca Lucana, una politica che sappia trasformare il patrimonio audiovisivo in memoria e in motore di sviluppo. L’Associazione TRANSTV dal canto suo lo sta continuando a fare promuovendo e partecipando ad una rete indipendente di Associazioni, Mediateche, Archivi, singoli cineasti e video maker denominata appunto RECIDIVI: Rete dei Repertori Cinematografici, Digitali e Video di Puglia e Basilicata.
RELAZIONE PER IL CONVEGNO DEL 24 GIUGNO 2008 A BARI PRESSO LA TECA DEL MEDITERRANEO, PUBBLICATO NEL VOLUME "I WORKSHOP DI TECA - 8 FOCUS PER LE BIBLIOTECHE" EDIZIONI AIB (Associazione Italiana Biblioteche) 2010
NELLA FOTO IL MAESTRO NICO GIRASOLE PROVA L'ORCHESTRAZIONE DAL VIVO PER IL CARPINO FOLK FESTIVAL
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23 giugno 2008
UNA NUOVA AMICA VIRTUALE
Gran bella sorpresa conoscere "virtualmente" Silvana di Pesaro. La ringrazio per il suo commento ospitando un suo bellissimo video sulla melanconia litania dei talking heads
Andiamo
Venite
Andiamo
Vuotiamo le tasche
e scompariamo.
Mancheremo a tutti gli appuntamenti
ci rifaremo vivi tra anni
con la barba lunga
vecchie cartine di sigarette
attaccate ai pantaloni
foglie nei capelli.
Non ci preoccupiamo
più
dei pagamenti.
Ci vengano pure
a prendersi
tutto ciò
per cui stavamo pagando..
..Alziamoci e andiamo
all'isola dell'Uomo-libero
a vivere la semplice e piena vera vita
della saggezza e dello stupore
dove tutte le cose crescono
dritte
oblique e cantanti
nel sole giallo
papaveri nati nell'orma di una vacca
angeli pensanti dallo sterco.
Ora devo alzarmi e andare
all'isola dell'Uomo-libero
molto in alto oltre la voce rotta
e i boschi dell'Arcadia
"Canto di vagabondo"
di Lawrence Ferlinghetti
Video di Silvana Furfari 1993
Grazie Silvana
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anamorfo
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21 giugno 2008
YOU TUBE FOR PRESIDENT
Ottima riflessione di Antonella Napolitano sull'uso di You Tube nella campagna per le presidenziali USA. Da non perdere. Per leggerlo clicca qui.
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11 giugno 2008
GOMORRA VS IL DIVO? PAREGGIO
Tifo per entrambi questi film. Lo dico subito perché non si pensi che voglia dissertare sui loro difetti. Diciamo che finalmente abbiamo un cinema di cui parlare in Italia! Ero a cinema stasera e volevo rivedermi i primi dieci minuti essendo arrivato in sala troppo trafelato. Mi sono trattenuto ed ho potuto vedere il trailer di un altro film, firmato da un regista tra i più osannati degli ultimi anni. Non faccio nomi, per ora. Cast di divi (italiani) e tutti i presupposti per un altro successo... io non credo che andrò nemmeno a vederlo. GOMORRA e IL DIVO sono davvero un evento e lo sono perché usciti insieme e perché insieme vincono Cannes e perché sugli schermi italiani si vede qualcosa di cui il mondo può parlare.
Detto ciò dico quello che io penso de IL DIVO. Di GOMORRA ho già scritto. Credo che Sorrentino abbia dato il meglio di se. Il suo "manierismo" qui trova una materia giusta e non sembra più sovrapporsi. D'altro canto questo "manierismo" non è invenzione di Sorrentino ma è una "maniera" che si è imposta sulla scena internazionale. Avere anche in Italia un autore che la sappia interpretare non è cosa da poco. E non amando affatto questo "stile internazionale" devo dire che Paolo Sorrentino lo preferisco ai Patrice Leconte, ai Jean-Pierre Jeunet, alle Sofia Coppola, tutti interpreti di questo stile antinaturalista.
Contrariamente a GOMORRA trovo che tutti i difetti de IL DIVO siano interni alla sua maniera e quindi più giustificati. Ma come in GOMORRA l'esito è di avere un affresco a discapito del racconto. In questa "maniera post moderna" c'è un ritorno indietro rispetto alla grande novità barocca della modernità, che introduceva il racconto e trasformava la prospettiva in evento del tempo prima ancora dello spazio. A tratti IL DIVO tocca il cuore faustiano del dramma che potrebbe sviluppare ma preferisce muoversi nel modo minimale della stessa musica (splendida) che lo accompagna. Peccato per il potenziale Urfaust. La carica espressionista della regia di Sorrentino comunque serve bene questo Personaggio in Nuce, lasciando trapelare tutta la potenza del tema faustiano del servire il Male per mantenere il Bene. Altro tema ben affrescato quello della moglie che improvvisamente cerca di grattare la scorza cinica del marito e chiude con "un'altra battuta!".
Quindi sia GOMORRA sia IL DIVO affrescano e non raccontano. Pareggio Antinarrativo! Il primo per eccesso di realismo e il secondo per un programmatico antinaturalismo espressionista.
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anamorfo
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10 giugno 2008
09 giugno 2008
08 giugno 2008
LA STORIA DELLE COSE
Documentario The Story of Stuff con Annie Leonard come conduttrice imbonitrice... Lo si può vedere su You Tube in tre parti, la prima, la seconda e la terza. Qui trovate un estratto tradotto e doppiato per il progetto dePILiamoci a cura di Roberto Lorusso e Nello De Padova.
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anamorfo
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OBAMA VINCE SE NON PUNTA SULLA PACE
Articolo su testata di parte ma convincente. Obama può farcela se non punta sull'argomento della guerra di Bush ma sulle questioni economiche interne. Da sempre, d'altro canto, i democratici hanno vinto su questi temi e Obama può conquistare elettorati sino ad oggi esclusi dal voto. E' quanto leggiamo su questo articolo. Peccato però che speranza e cambiamento siano per altri commentatori legati ad un ruolo diverso degli USA nel mondo, dove l'idealità di un'America che porta libertà e democrazia nel mondo è la partita in gioco. Quale delle due? Non dimentichiamoci che la novità neoconservatrice è tutta in questo recupero di idealità. Io credo che Obama debba rispondere a questa ed essere più diplomatico sul tema della guerra. Un po' come dire "il saggio non guarda il dito ma la luna". E la luna deve esserci. Solo che non si chiama Pace ma Libertà e Democrazia. Valori e non rinuncia ai valori come spesso il movimento pacifista ha proposto (vi ricordate il vecchio "meglio rossi che morti?". E' Edgar Morin a scrivere che fu quella la battaglia persa e sbagliata. Vinsero i missili di Reagan in nome di Liberà e Democrazia. Non ne sono certo contento (nelle mani dei conservatori Liberà e Democrazia finiscono sempre per essere coniugate come Abuso e Privilegio) ma forse potremmo imparare a mettere un punto fermo e andare oltre.
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anamorfo
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05 giugno 2008
OBAMA FOR PRESIDENT
L'Europa progressista è troppo stanca per esultare... Obama è il candidato dei Democratici per le prossime presidenziali ma a nessuno sembra importare più di tanto. E' iniziata ieri la Corsa decisiva tra McCain e Obama ed è iniziata di fronte alla Assemblea della Lobby ebraica. L'ho seguita su SKY, il discorso della Clinton e poi quello di Obama. Ancora non sapevo della sua vittoria ormai certa e quindi sono saltato sulla poltrona quando l'ho sentito ringraziare la Clinton e dire che la sua campagna per le presidenziali ha fatto la Storia! Un discorso che solo un vincitore poteva permettersi. Ha anche aggiunto che Lei è l'amica di lunga data dei sostenitori di Israele mentre su di lui si era gettato fango ("girano e-mail che dicono cose terribile su questo Obama e sono sicuro che molti di voi le avranno ricevute e lette. Sono qui perché poi possiate capire se quanto sia mostro questo Obama e che uomo cattivo sia..." cito quasi alla lettera). Evidente che era lui il vincitore e che iniziava la Corsa per le Presidenziali dal punto più difficile e sui cui la Clinton partiva invece in vantaggio rispetto non solo a lui ma anche a McCain (che in quanto Repubblicano è però già tranquillo mentre è Obama ad avere ora anche l'appoggio imbarazzante di Carter oltre alla scarsa fiducia in lui dell'elettorato ebreo d'America). Quindi Obama ha fatto il suo dovere e lo ha fatto bene. Sul legame indissolubile tra USA e Israele ha detto testualmente "non c'é differenza tra Obama e McCain, chiunque sarà il Presidente questo legame non è messo in discussione". Ok ma non è che fin qui si gioca in difesa? Eccolo infine Obama dire chiaro che delle differenze tra lui e McCain ci sono ma è la vecchia storia della Diplomazia al posto della Guerra. Ma come? Promette che sarà risoluto con Iran e Siria (perché non parla di Arabia Saudita, il grande buco nero della politica di Bush?) ma come? Solo uno spiraglio: dice che la Diplomazia può essere un'arma molto dura come lo fu con Kennedy e con Reagan. Non va oltre. Ma vuol dire quindi puntare i missili atomici contro l'Iran? Perché questo fece Reagan e prima di lui Kennedy (che in verità campione non fu visto che il Muro di Berlino è crollato per merito del Repubblicano Reagan ed è stato eretto invece per fallimento del Democratico Kennedy, guerrafondaio si ma in guerre perse come e peggio Bush...). E gli europei? Dormono, in tutti i sensi. Non esultano e non si spaventano. Tanto... è sempre a casa loro che li metteranno i missili. O no?
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anamorfo
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03 giugno 2008
LEGA IN SKY WITH DAGOS
Sul multicanale 100 di SKY hanno passato tutti gli interventi a Pontida dei leader della Lega Nord convenuti al raduno annuale. Una esperienza da fare! Andrebbe trasmesso a reti unificate perché tutti gli italiani si rendano conto di come il Paese è... diviso. Sì diviso. Non voglio scandalizzarmi anche se francamente mi sono scandalizzato. Capisco però che lo scandalo sono io. Pur viaggiando, ed avendo attraversato non poche volte il Nord dell'Italia, non mi sono mai accorto della entità del fenomeno o sono volutamente stato sordo e ceco. Ricordo giusto lo stupore anni fa di sintonizzarmi su Radio Padania Libera e sentire ogni intervenuto salutare ed essere salutato dal conduttore con un "Padania Libera!". Veniva da ridere e mi viene ancora da ridere. Mi ricorda il Cornovaglia Libera di una serie comica rai degli anni '60... e di carnevalate non ne mancavano a Pontida: il poster con gli indiani d'America assimilati agli Italiani invasi dagli extracomunitari e in futuro messi in Riserva, uno vestito di tutto punto da Generale George Armstrong Custer (forse non aveva capito il senso del poster e giustamente l'aveva frainteso come invito a sterminare le Riserve Rom come un tempo il 7° Cavalleggeri con i Sioux), un altro con tanto di costume in plastica da Vikingo... elmo con le corna e spada corta inclusa...OK, lo so. E' troppo! OK lo so è vero anche il contrario, ossia che sono io che non so stare tra il popolo... Veniamo invece ai discorsi e al contenuto di questa Lega. Innanzitutto quale programma ha questa Lega Nord? Il Federalismo. Bene. La Sicurezza. Bene. La Semplificazione. Bene. Tutto bene se elementi di modernizzazione. Invece il linguaggio è populista (può il populismo accompagnarsi alla modernizzazione? non so), vecchio, basato su un pericoloso culto della personalità ossia di Umberto Bossi. Come riflessione posso dirmi che in tutto questo c'é del Post Moderno e il pensiero va però alla ex jugoslavia... Esagero? Avreste dovuto ascoltare Bossi! Per mezz'ora ha ripetuto solo una cosa: che ci sono sei milioni di padani pronti a usare le maniere forti se non passano le riforme federaliste: che la Lega è brava e buona e siccome vuole lo sviluppo vuole la pace ma che se in pace non ottiene quello che vuole allora si passa alla guerra; che i sei milioni di leghisti si devono preparare (alle armi!) e farsi sentire (con la minaccia!) perché le Riforme si fanno solo per bontà della Lega che invece - e questo lo si deve sapere - è pronta a fare la Rivoluzione! Insomma a prendere questi discorsi sul serio ci sarebbe da arrestarli tutti! A parte che sembra Mussolini che dice o mi fate governare o faccio la rivoluzione. Notoriamente in questi casi uno Stato che si rispetti risponde con la Polizia e l'Esercito! Ed è singolare che proprio coloro che parlano di Stato che si rispetti con i napoletani nella monnezza poi godano di tale impunità. La Lega inoltre non si presenta come Partito Federalista e Umberto Bossi ha letteralmente offeso quei meridionali accorsi al raduno di Pontida. La Lega è cosa solo di chi è veneto o lombardo o piemontese o ligure o emiliano... tutti gli altri via. Questo si chiama Separatismo! E le minaccie di Bossi si chiamano Guerra Civile alla pari di quella che vorrebbero scatenare i Baschi separatisti. Ebbene, lo dico io che condivido molte delle ragioni della Lega: il fondamento di tutto questo è una pagliacciata! Il verde dell'Irlanda ? Parole di Bossi: origine celtiche del popolo padano che non sarebbe italiano (campeggiava uno striscione con scritto "Padania is not Italy" e uno dei convenuti intervistato ripeteva che l'obiettivo vero della Lega era la Separazione dall'Italia)! A confronto i Neo Borbonici sono una cosa seria! Ma è il Ridicolo a fare spesso la Storia, non il contario. Peccato dunque non avere noi i Neo Borbonici a riempire le piazze e i cuori dei meridionali... Ma in nome di cosa? Della Lentezza? dello Statalismo? dell'Assistenzialismo? della Sudditanza? Fanculo Sud! W la Lega! Il loro era un Rave dell'Assurdo. Bossi si era fatto di LSD e aveva le allucinazioni (voglio proprio vedere dove sono questi sei milioni che si preparano alla rivoluzione...), loro sono i veri vincitori di questa Italia annoiata e desiderosa di diventare moderna, per il resto come in ogni storia che si rispetti vivono nel paradosso e visti da fuori sono più italiani degli italiani, sono "dagos" e lo sono forte. Quindi cantiamo con i Beatles l'inno al LSD trasformato in LEGA IN SKY WITH DAGOS... pàra - pà pà... lega in sky with dagos... pàra pà pà... aaaaaahhh ah.
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anamorfo
h.
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