27 novembre 2008

CARO BENNY...



Esattamente un anno fa scrivevo questa lettera segreta (a Benedetto Petrone ucciso il 28 novembre 1977). Quest'oggi un amico ritrovato mi ha mostrato la mia immagine del 28 novembre 1978 (la prima manifestazione per ricordare la sua morte). Ho deciso di pubblicare entrambe. Segue la lettera del 28 novembre 2007.

Caro Benny,
tra poche ore si compie il trentesimo anniversario della tua morte. Non posso immaginare cosa tu possa aver provato. Francamente mi auguro che tu non sia stato assalito dalla paura. Voglio sperare invece che, meno innocentemente, tu abbia reagito se non provocato quel assalto e che qualcuno dei tuoi assalitori porti oggi magari i segni di un tuo colpo di catena o di altro. Non lo dico per gusto dell’osceno o della provocazione ma solo perché se così è stato non avrai avuto il tempo di essere morso dalla paura. Quel colpo alla tua pancia ti sarà giunto inaspettato e il dolore ti avrà assalito all’improvviso, senza annunciarsi e oscenamente denudarti lo spirito. Spero così!
E con questo mio dire spero anche di aver detto tutto il mio disagio rispetto alle rievocazioni di cui leggo da giorni e che mi accingo con timore a vivere anche nelle prossime ore.
C’è un sentimento che davvero non mi appartiene in questo rito collettivo. E pensare che per anni, esattamente per cinque anni, ogni 28 novembre io e gli amici di cui spero ti ricorderai, abbiamo riempito la città di manifesti serigrafati, riempiendoci di sudore, colla, polvere e vernici. Per cosa poi? Forse semplicemente per un gesto d’amore.
Amore e rabbia. Violenza e passione. Sconfitta, rancore e ripensamenti. Il desiderio rimasto inesaurito di un reinvestimento di idee e passioni che non è mai giunto. Eppure dopo quei cinque anni successivi alla tua morte, per me i più intensi di militanza politica, venne una grande gioia di smantellare tutto. Da allora ho pensato semplicemente di averti tradito. Per me che riempivo la città della stupida scritta “Benny ti amo” questo sentimento non era da poco. Tu eri morto per ideali in cui non volevo credere più e che mi avevano tradito e meritavano solo disprezzo e rabbia. Come poterti rendere conto di questo e farti partecipe? Impossibile, tu eri morto per loro. Terribile come la morte possa fissare il nostro destino a qualcosa di così caduco anche se dall’apparenza granitica, com’è stato il comunismo.
Ora scrivono che la tua morte non è venuta invano perché avrebbe fatto fiorire una stagione irripetibile di lotte e dato a questa città una nuova consapevolezza. Che sciocchezza! Grazie al tuo sacrificio ci saremmo liberati dal peso degli anni di piombo. Che orrore! Prima della tua morte, al contrario, la rivoluzione era per noi solo una gioia. Una terribile catarsi che ci avrebbe donato una nuova vita. Dopo la tua morte ci siamo resi conto che eravamo entrati nel tunnel degli anni di piombo e che tutta la violenza di cui eravamo stati capaci e, ancor più, quella di cui avremmo voluto essere capaci, tutta questa violenza ci ricadeva addosso come inutile e vacua. Io non ho resistito e da allora ho smesso di giocare. Niente gioia. Alcuni reagirono con il riflusso. Altri con la disperazione. Altri sicuramente ma silenziosamente con sani ripensamenti. Io volli procedere come mio carattere ad una verifica estrema. Il riflusso per me fu rimandato di cinque anni ed ebbe almeno il suono straziante ma bello del postpunk. Solo oggi capisco quanto la tua morte abbia contribuito a farmi scegliere la ferrea disciplina della militanza. Dedicai ogni mia energia ad una rivoluzione che non si sapeva più quando sarebbe venuta ma che il nostro marxismo c’imponeva di preparare con il massimo dell’intelligenza possibile, perché non fosse nuovamente fallimentare. Un appuntamento con la Storia che non ci bastava più. Al fallimento, se non s’arrivava preparati e attrezzati per vincere non solo la rivoluzione ma anche e soprattutto oltre la rivoluzione, sarebbe seguita semplicemente la barbarie. Non ci si poteva più permettere di confluire semplicemente in un movimento. Quel movimento sarebbe stato, come tutti i precedenti, un movimento a vuoto se ognuno di noi non si faceva responsabile e sapiente anche di questo, smettendola di attribuire al nemico i propri fallimenti. Con la tua morte, Benny, il gioco finì. Almeno per me. Io nel 1977 ero diventato appena maggiorenne e nei cinque anni che seguirono feci solo finta di studiare. La mia università fu la politica. Ed avendo scelto la rivoluzione più radicale non mi rimase spazio per prepararmi ad un futuro da dottore o professionista. Mi ritrovai nel 1982 a mani vuote. Fu allora che decisi di mollare tutto e tornare a me stesso, ormai convinto che il comunismo non era una causa tradita ma una tragedia ingannatrice e ormai senza futuro. Nel frattempo solo la fortuna volle che scegliessi per la “verifica estrema” un’organizzazione che mi protesse dalla scelta armata. Io non sono mai stato equidistante tra terrorismo e stato. Il terrorismo era una delle pratiche da tempo scelte dai rivoluzionari e piuttosto era la mia organizzazione ad essere minoritaria e andare per il sottile. Ho divorato libri sul terrorismo cercando qualsiasi argomento mi consentisse di praticarne almeno un po’ di quel terrorismo negatoci ma d’altro canto così evidentemente fallimentare. Strano sentimento: da una parte il desiderio di sentirsi chiamato finalmente alle armi e dall’altro quello di sentirsi dire che non funzionava solo perché non era giunta ancora l’ora. Ci accontentammo di quello che fu da noi definito terrorismo diffuso, pratica sbagliata – ci dicevano - ma che potevamo tollerare purché spontanea e non diretta da apparati politici altrimenti colpevoli (ma non di fronte allo Stato bensì solo a futuri tribunali del popolo…). E con questo margine di tolleranza potevamo e dovevamo dunque calarci nelle situazioni di spontanea violenza e magari esercitarci nella fabbricazione e nel lancio di molotov o nel tiro a segno.
Ora io ti ho conosciuto poco ma non posso tradire e nascondere una verità certa di cui sono testimone. Noi, tutti noi, noi dell’estrema sinistra e quelli che come te che militavano solo per un senso di appartenenza di classe nel Partito Comunista Italiano e nella sua Federazione giovanile, avevamo come unico scenario desiderato la Rivoluzione. Ricordo come oggi i voli pindarici dei militanti più grandi di te che si difendevano con orgoglio dall’accusa allora infamante di essere Riformisti. Questa parola non piace ancora a molti che fanno finta di accoglierla. E sono gli stessi che oggi dicono che la tua morte sarebbe servita a far vincere il diritto alla partecipazione e alla democrazia. So che queste parole ti sarebbero piaciute, perché altrimenti non saresti stato nella FCGI, ma so anche che se ci siamo conosciuti e sfiorati nelle nostre vite è perché tu avevi scelto di essere partecipe di un processo che si voleva e si pensava insurrezionale. A noi non ci bastava un mondo migliore. Volevamo un altro mondo. Oggi di tutto questo non ci rimane nulla e nemmeno coloro che parlano di un altro mondo possibile si avvicinano a tale palengenesi, perché noi non ci accontentavamo del possibile, se non come categoria di strategia politica. Perché allora non dirci la verità? Con la tua morte iniziò la fine di questa illusione. Nessuna rivoluzione sarebbe iniziata e quella di cui assaporammo un possibile e desiderato preludio aveva il sapore amaro della morte: vacua e inutile…. Chi di noi può dimenticare quella notte interminabile in Piazza Prefettura? I fiori, i foglietti, il cerchio sul posto della tua morte che si allargava di minuto in minuto. A notte fonda arrivarono anche i miei famigliari, rassegnati all’idea di non potermi nemmeno parlare e non potermi di certo fermare. La Polizia iniziò a circoscriverci e noi come cani rabbiosi si voleva colpire i nemici, tutti. Anche di questa disperazione mi sono nutrito, assaporandola appieno. Quando sarebbe iniziata la violenta risposta? Tentativi di prendere possesso di Via Piccini partivano continuamente e il passamontagna aspettava solo di essere calato. Non si poteva dormire e si desiderava la catastrofe per il giorno dopo. Il vuoto allo stomaco fu succeduto dalla festa. La città il giorno dopo fu nostra e la prima cosa fu bruciare la Passaquindici, quella sezione di giovani missini contro i quali insieme avevamo fatto le “ronde proletarie”. E’ così che t’avevo conosciuto. In Via Mungivacca o giù di lì, nei pressi della Chiesa Russa, eravamo stati assaliti da alcuni colpi d’arma da fuoco, veri o presunti. Tanto bastava per correre in ritirata ma tu non seguisti il passo e io mi accorsi che eri claudicante. Una compagna di cui ero innamorato s’innamorò di te e io, come sempre e come giusto, amai il suo dolce amore per te. Anche in questo parliamo di un’altra Era! E’ qui che nasce il sentimento di quella mia scritta incomprensibile ai più: “Benny ti amo!”. Scrivevo dell’amore altrui perché ne ero partecipe e perché non volevo che rimanesse inespresso. Sapevo che per qualcuno la tua morte non era ripagata dal linguaggio della politica e a quel tempo sognavo una politica che sapesse parlare anche questi linguaggi, in nome di un futuro comunismo che l’alienazione della politica non doveva conoscerla. Stiamo parlando del 77 e degli indiani metropolitani, un breve periodo in cui rivoluzione comunista e cultura alternativa s’incontrarono e sposarono. Bellissime colonne sonore per i nostri sogni. Poi i sogni si fecero pratiche rigorose ma almeno le colonne sonore rimasero a farmi compagnia. La nostra palingenesi comunista non aveva il suono cupo delle marce trionfali ma quello psichedelico del libero amore e della percezione già proiettata in universi alieni. Tutto invano Benny. E’ triste dirselo ma sarebbe osceno nasconderlo a te. A te non serve mentire. Purtroppo serve ai vivi per non fare mai i conti con il passato e reinventarsi un presente consolatorio attraverso una proiezione deformante sulla storia. Sono passati trenta anni ma accade che la nostra generazione come Orfeo non sappia guardare indietro. Ha perso Euridice nel tentativo di strapparla alla morte, incapace invece di dar vita a Nuovi Amori. Ed è proprio questo sguardo nostalgicamente rivolto all’indietro ad impedircelo. Il non saper resistere alla tentazione di autocelebrarsi e abbandonarsi semplicemente al ricordo. Nessuno può dirmi se anche tu oggi non avresti fatto lo stesso. E’ sicuramente più probabile ma anche a te voglio allora confessare d’aver avuto sempre un senso di colpa per la tua morte. Essa fu preceduta, appena due giorni prima, dal primo raid (l’ultimo solo a causa della tua morte, altrimenti ne sarebbero seguiti altri) davvero deciso e violento nel quartiere Poggiofranco. Uno stupidissimo gesto di violenza che ebbe vittime lievi per quei tempi, essendo le ossa rotte cosa da poco nello scenario del 77, ma che poteva finire con il morto, per esempio a causa dell’incendio della piccola discoteca nell’interrato o, più difficilmente, di qualche pestaggio di troppo. Quella violenza ci apparteneva e non era solo dominio della parte avversa e che noi la si chiamasse autodifesa o altri presidio democratico non cambiava la sua natura oggettiva. Questo è ancora un tabù ma per lungo tempo io ho pensato che quella maledetta notte del 28 novembre avessero voluto rispondere al nostro gesto. Noi attaccammo Poggiofranco e loro Bari Vecchia. Mi piacerebbe sapere che non è stato così e credere ai complotti o comunque essere smentito nelle circostanze anche casuali. Non avverrà mai e quindi mi sento di chiederti anche scusa e perdono. Ma tu quella notte a Poggiofranco forse eri con noi e non avresti esitato comunque ad esserci. Anche per questo ti ho amato. Ricordo che al ritorno da Poggiofranco ho parlato a lungo con qualcuno di Bari Vecchia, contento per quello scontro finalmente di classe anche nella sua fisica zonizzazione. Anche da qui l’idea che tu potevi essere dei nostri. Da qui dunque sarebbe giusto ripartire: le due città per l’appunto. Liberandosi però di tutto il resto.
Nei giorni successivi ricordo che dai microfoni di Radio Radicale si levavano parole per me oscene che invitavano i compagni a dimettere la loro violenza. I microfoni erano aperti e i più rispondevano che la violenza era l’unica risposta legittima e necessaria, contro i fascisti per tutti e contro lo Stato per molti. La rottura con questo scenario lo compì il PCI proprio quel anno, chiamando fascista il movimento del 77. Ma a parte la Direzione del Partito il processo di rottura tra movimento e PCI non si compì mai del tutto e non fu soprattutto lineare e repentino, né tantomeno esteso a tutte le sue strutture periferiche e territoriali. Non sarebbe stato possibile, sociologicamente parlando.
Se oggi dovessi indagare sulla tua morte punterei il mio sguardo proprio su coloro che ti hanno ucciso. Cosa pensavano realmente? La loro storia è molto più oscura della nostra e ancor meno hanno avuto il coraggio di parlare, mossi per lo più dal comprensibile desiderio di vedersi anche loro riconosciuto lo status di vittime e non solo di carnefici. Viviamo dunque in uno Stato dove nessuno vuol fare i conti e tutti sono partecipi delle reciproche omissioni. Lo Stato con le sue Stragi, i fascisti che non so più capire cosa fossero se non dei ribelli o dei figli di papà, e infine noi.

Ciao Benny, so di aver parlato solo a me stesso ma è questa una strana attitudine umana, in specie a Novembre. Parliamo con i morti perché non possono più ascoltarci. Ai vivi, d’altro canto, non so quanta voglia ho di raccontare queste cose. Si tratta solo della mia umile e inutile storia. Per altri si è trattato di un percorso diverso. Molti non si sono mai chiesti quale comunismo volessero. Erano quel tipo di compagni ingenui che continuano ad affollare volentieri le piazze con il Che, i diritti dei palestinesi e magari un po’ di commercio equosolidale. Forse anche tu saresti stato con loro. Altri hanno finito i loro studi e oggi pensano, grazie al loro successo professionale e politico, che tutto sia interpretabile come una vittoria della democrazia. Come se quella contro la quale lottavamo non fosse proprio la “democrazia”! No, caro Benny. Non saresti morto di certo se si trattava di consentire anche ai missini di entrare nel gioco dell’alternanza e ai tuoi dirigenti di allora di governare il capitalismo, diciamo da sinistra. Se ci fossimo dati questo scenario per il nostro futuro saremmo arrivati a pacifici accordi anche con coloro che ti hanno ucciso. E noi non avremmo mai tentato di massacrarli perché “servi armati dei padroni”. Alla luce di questo scenario la tua morte appare solo più vana che mai. Perché nascondersi questa verità? Solo per non sentirsi in colpa con te.

… Mi rimane solo un senso di vacuità. Tu sei morto e mi sembra vero quello che qualcuno osa dire: tutti parlano del significato della tua morte ma di te nessuno. Scusami Benny se anche io, oggi, ho partecipato a quest’inutile gioco. Preferisco tornare al silenzio e ad un giusto senso di colpa nei tuoi confronti.

Bari, 28 novembre 2007

16 novembre 2008

OBAMA GIOCA A BASKET



Il Basket diventerà sinonimo di Obamamania? O prevarrà ancora l'ostilità latina del Calcio in chiave antiamericana (del nord) con Maradona (del sud) in prima fila? Staremo a vedere. Intanto ecco il messaggio di cui parlavo nell'altro mio post, quello che Obama ha inviato ai suoi sostenitori per mezzo di internet prima di uscire di casa per fare il suo primo discorso da vincitore a Grant Park. Un messaggio storico che segna l'inizio della democrazia elettronica e di cui facebook in questi giorni ci sta dando un rapidissimo esempio di evoluzione accellerata:

IL MESSAGGIO DI OBAMA:

I'm about to head to Grant Park to talk to everyone gathered there, but I wanted to write to you first.
We just made history.
And I don't want you to forget how we did it.
You made history every single day during this campaign -- every day you knocked on doors, made a donation, or talked to your family, friends, and neighbors about why you believe it's time for change.
I want to thank all of you who gave your time, talent, and passion to this campaign. We have a lot of work to do to get our country back on track, and I'll be in touch soon about what comes next.
But I want to be very clear about one thing...
All of this happened because of you.
Thank you,
Barack

10 novembre 2008

CRONACA DI UNA SPERANZA NUOVA

09 novembre 2008

OBAMA MARKETING? NO, NON BASTA

Molto interessante e giusto l'articolo di MediaMeter sul marketing elettorale di Obama. In questi studi vi è sempre però un difetto di fondo: il riduzionismo. Un punto di vista specialistico che riduce il fenomeno a se stesso. Obama invece va letto con diversi strumenti per poterne ridare poi tutta la complessita. Restando comunquer nel campo del marketing politico bisognerebbe aggiungere già alcuni elementi: 1) il messaggio era diretto alla "nazione" e non ad una parte di essa (interclassismo). In particolare alle classi medie ma saldando con loro quelle meno agiate. I repubblicani sono stati schiacciati su posizioni invece "populiste" ma come ultima spiaggia. La scelta di Sarah Palin era perfetta ma era un rilancio tardivo come appunto ci spiega l'articolo di MediaMeter. Coerente comunque con la candidatura McCain che a sua volta appariva come una risposta non convinta dei repubblicani all'onda del "cambiamento" messa in moto da Obama. Mentre da noi il populismo di Berlusconi è stato la prima mossa, in USA è stata la mossa di risposta. E fin qui la sindrome della Pepsi descritta da MediaMeter. Solo che in queste impostazioni riduzioniste dove vince chi ha la campagna giusta ci si dimentica di analizzare il contesto sociale, in pratica si sottovaluta sempre il valore in se del contenuto in vendita. Con Obama il prodotto era genuino perché genuina la società civile che in lui ha trovato espressione. Non a caso il populismo in America non paga e in Italia ed Europa sì. Il populismo in America lascia le persone a casa, non le mobilita. Mette una distanza netta tra la stanza dei bottoni e chi vive di cose concrete e quotidiane che trova sano solo tenere alla larga da se lo Stato e quindi non partecipa. Il messaggio di McCain/Palin anti Washington non pagava proprio per questo. Al contrario l'interclassismo di Obama, con un appello chiaro e netto alle classi medie come fondamernto della democrazia, finiva per mobilitare anche i meno agiati e le energie pronte a mobilitarsi. Capire Obama vuol dire capire cosa finalmente ha portato al voto milioni di persone che sino ad ora ignoravano lo strumento politico nella loro vita. In termini di marketing si tratta di aprirsi un mercato che non c'è e a questa domanda l'articolo non da risposte. 2) Il messaggio di cambiamento non buttava fuori nessuno, per intenderci non era lo "smetti di guidare perché mi fai schifo" della passata campagna democratica sotto l'icona mediatica di Michael Moore (cfr. il nostrano antiberlusconismo compresa l'ultima idiozia mediatica di Camilleri o l'insistere sulla oggettiva natura buffonesca di Berlusconi) bensì "stai andando dalla parte sbagliata e finiamo tutti nel pantano, fai guidare me che conosco la strada e sono più bravo e fresco di mente". Non è un caso che tra i messagi paralleli creati dai sostenitori di Obama, contrariamente da quanto accade da noi, quelli vincenti non erano quelli Anti ma quelli Pro. Dei due video rappati di Yes We Can quello anti McCain non ha fatto storia (con tanto di giochi di parole sul suo essere un guerrafondaio ecc.). Quello che ha girato il mondo è quello con Obama e il suo messaggio per chi capiva l'inglese era che democratici e repubblicani ora dovevano unirsi per uscire dal pantano, che era il momento di dare una svolta al paese, uniti. Obama si è collocato nel mezzo molto più della Clinton e questo ha rotto anni di teoria di marketing politico che dicevano che per vincere in un sistema bipolare conta conquistare una minoranza agguerrita che fa la differenza, avendo entrambi un elettorato stabile e più o meno paritario. Invece Obama ha creduto in fondo nella democrazia e ha puntato a conquistare tutti, una sorta di "via di mezzo". Quindi chiarezza del messaggio, coerenza e stabilità vanno visti insieme alla natura politica del messaggio e al corpo sociale che è in grado di mobilitare. 3) I mezzi utilizzati. Quella di Obama è un grande evento mediatico, direi un punto di svolta epocale per il nostro tempo perché ha coinvolto il villaggio globale e lo ha fatto utilizzando internet. Non è cosa da poco! Tutto il mondo ha votato Obama e gli americani votando Obama si sono sentiti come non mai motore progressivo del mondo. Forma e Contenuto come sempre vincono quando onestamente sono la stessa cosa! Obama ha messo in rete intorno a se milioni di persone e tra questi tantissimi elettori reali che venivano privilegiati ricevendo notizia delle sue mosse politiche e non, in anticipo anche rispetto ai mezzi stampa. Una novità assoluta nel mondo della comunicazione. Prima di recarsi a Grant Park Obama ha lanciato un messaggio diretto a migliaia di suoi sostenitori, non so se con facebook o altro, parlando loro in prima persona per ringraziarli di aver reso possibile la vittoria. Solo dopo ha annunciato la cosa alla stampa. Il popolo di Obama ha esultato prima di tutti. Il cuore della comunicazione da oggi è nel contatto diretto, è in Facebook e non nelle Agenzie Stampa, queste vengono dopo. L'oligarchia della Stampa viene superata e la Politica passa al primo posto. E' la fine del Citizen Kane di Welles, del Quarto Potere e così via. Ma ancora una volta non è solo una rivoluzione di forma. In questi giorni Obama sta inaugurando un sito che si chiama appunto "change" che funzionerà come un social network delle sue scelte politiche. Chiunque si iscriverà non solo saprà in tenpo reale delle sue decisioni (quelle che lui ripetutamente ha detto "io sbaglierò molte cose e quindi ascolterò le critiche" - grande!) ma potrà dire cosa si può fare secondo lui per questo o per quell'altro. Ed ecco dunque che una nuova stagione di strumenti politici insieme diretti e assembleari e indiretti e rappresentatiti sta per nascere... Non siamo stati capaci nel nostro piccolo di farlo a Bari e in Puglia. Ecco da chi dovrebbero prendere esempio i nostri Emiliano e Vendola. Non bastano cari amici di Proforma le belle e simpatiche campagne pubblicitarie, ci vuole poi anche il prodotto da vendere e il coraggio di costruirlo fresco, originale e vero. 4) Possiamo dire infine che non è affatto vero che la vittoria di Obama sia dovuta ad una giusta campagna di marketing politico. La stessa campagna in Italia forse non avrebbe prodotto esito. A vincere con Obama è l'America e il sistema americano. Obama ha vinto infatti quando ha sconfitto la Clinton ossia ha vinto prima dentro il suo Partito con un processo lungo e doloroso. E' stata quella la sfida più difficile e dove contro di lui si sono giocate le mosse più sleali (soltanto riprese da McCain ma già sfoderate durante le primarie). Obama non è il candidato di una lista civica o di un partito che ne simula le dinamiche come in Italia Forza Italia, la Lega e l'Italia dei Valori, tutte nate da dinamiche di "anti-politica". AL contrario Obama nasce dentro una tradizione politica e la rinnova, la rilegge, giustamente portando i commentatori a paragonarlo a Roosvelt ancor più che a Kennedy. Dentro AN o il PD questo non potrà avvenire. In Italia e credo in buona parte dell'Europa (Gran Bretagna e Spagna escluse?) i partiti non hanno più lo stesso valore e la scelta dei candidati, quindi il meccanismo stesso di rappresentanza, non ha la stessa vitalità che in USA. Per tornare al marketing è come se in USA c'é un vero libero mercato della politica che consente quindi ad una campagna pubblicitaria, se indovinata e con i soldi, di posizionare un prodotto nuovo e farlo vincere anche se parte svantaggiato. Da noi no, non c'é un vero libero mercato della politica. E' noto a tutti che in America vince chi ha i soldi e che Obama ne ha raccolti più di tutti. Qui sarebbe stato un argomento contro di lui, in USA è stato un argomento vincente. Se raccoglieva soldi voleva dire che piaceva ed è vero che ha raccolto fondi con piccoli contributi da tutti ma non solo quelli. Perché non dimentichiamolo gli USA sono anche la nazione delle Lobbies legali e dichiarate. Insomma la campagna di marketing di Obama era giusta ma ha funzionato perché il sistema consente una libera concorrenza politica e perché il prodotto era più buono. 5) Ultima considerazione: dire in politica che un prodotto è più buono degli altri vuol dire che esso rappresenta al meglio un pezzo maggioritario di società civile. Questi sono però quelli che nel marketing sono solo dei consumatori. In politica non è proprio così. I consumatori sono anche produttori del prodotto Obama. Obama ha saputo credere in questo ed ha vinto le oligarchie del suo stesso partito. Per questo siamo qui a parlarne, ormai dimenticandoci sia del colore della pelle sia del nome musulmano. Questi ultimi non sono messaggi mediatici da poco e basterebbero da soli per parlare di lui. La cosa straordinaria è che Obama ci ha fatto dimenticare anche di questo. Oggi ho visto ad MTV una manifestazione di premi di musica rock e tuti portavano la t-shirt di Obama. Lui ormai è un'icona pop, è già nell'Olimpo dei Dei e dei Miti iconizzati da Andy Wharol. Sino ad oggi era successo solo con miti eversivi quali Che o Mao, nemmeno Kennedy vi era entrato. Obama si e per la politica è una novità assoluta e molto complessa da analizzare.

08 novembre 2008

L'ITALIETTA CANTERINA...

Chiedo scusa anche qui al popolo americano per la battuta del mio Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Credo che dai tempi di Lenny il popolo americano abbia imparato, chi più chi meno, a distinguere l'uso violento delle parole dalla parola che copre la violenza. L'espressione del Nostro Presidente non è un'offesa in se, io con voi sono uno strenuo difensore della libertà di parola nel senso più lato, sino all'offesa e alla bestemmia. Diverso è il contesto, la necessità. Un capo di stato non si rivolge ad un altro capo di stato a suon di barzellette. Se voleva Berlusconi poteva fargliela privatamente al telefono quella battuta, ammesso che egli avesse questa confidenza amichevole per farla e francamente ne dubito. Ho amici di colore con cui scendiamo molto ma molto più in basso e sono sonore risate e amicizie rinsaldate da questa intimità. Intimità per l'appunto. Quello del mio Presidente del Consiglio era tutt'altro che un gesto intimo. Lui stava parlando anche a mio nome e io pertanto vi chiedo scusa, profondamente. Inutile discutere se è stata un'uscita scherzosa o inopportuna, era inopportuna e offensiva perché scherzosa. Devo sperare che Obama lo ricambi con una battuta sulla sua statura e sul lifting? Ma no, lui lo sa che offenderebbe il popolo italiano e la sua stessa dignità di capo di stato. Ha ben altro a cui pensare... a proposito, anche voi del PD vorreste avere altro a cui pensare? Di queste questioni se ne occupano i giornali e la società civile. E i comici di dare del nano a Berlusconi o di parlarci del suo lifting (si ricordi Furio Colombo le sberle morali che ha preso dai proletari in studio, nel programma di Santoro, per aver imbastito su questo il suo discorso politico). Noi società civile ci difendiamo bene da soli. Voi piuttosto: vorreste pensare a studiare per governare meglio nella prossima occasione? Vorreste smetterla di preoccuparvi di "montare la tigre sulla schiena" facendovi paladini dei movimenti o persino di ogni sussulto civile?... "à à - à à - abbronzatissima..." Perché non prendete esempio da Obama? Lui non ha vinto grazie alle ironie su Sarah Palin ma grazie alla sua indifferenza verso questi argomenti. Più hanno attaccato Sarah Palin più l'hanno resa simpatica all'America profonda, più voi attaccate Silvio Berlusconi su queste questioni più lo avvicinate all'Italia profonda. E lui lo sa! E' più furbo di voi. Voi dovreste pensate a fare le persone serie, ossia quelle che si occupano delle cose serie. Prendete esempio da Obama!

05 novembre 2008

UNA GIORNATA PARTICOLARE

O meglio una nottata particolare... ed ora che è fatta, butto giù confusamente alcune considerazioni. Grande discorso di McCain: non solo si è congratulato con Obama ma ha tracciato con rispetto ed entusiasmo il senso di riscatto che questa vittoria segna. Non solo con rispetto ma con entusiasmo! Se contro di lui non ci fosse stato Obama bensì la Clinton, credo che avrei simpatizzato per il repubblicano. McCain ha detto con parole chiare e sincere che la vittoria di Obama è il segno di una nazione che vuole uscire dalla crisi, che ha voglia di rimettersi in moto, ha riconosciuto ad Obama tutto il merito di aver mobilitato il paese e quindi ha detto che la vittoria di Obama è la vittoria di tutta l'America. Ve lo immaginate, da parte di chi perde, un discorso del genere in Italia? E' importante: ha anche aggiunto che la vittoria di Obama è la vittoria di tutti gli afroamericani e si è congratulato con loro, ricordando la vergogna del razzismo, ricostruendo per questo un episodio di Roosevelt che venne contestato solo per avere invitato a cena alla Casa Bianca persone di colore. Ora è un Presidente di colore che viene eletto da tutti gli americani. McCain ha detto che bisogna tutti festeggiare la vittoria di Obama come riscatto dell'America dalla vergogna del razzismo e dimostrazione che l'America tutta è andata avanti. Bisogna rendergli l'onore delle armi a uno così.
Ovviamente anche Obama ci ha tenuto a dire che lui ha vinto per tutti e che ascolterà soprattutto le critiche di chi non gli ha dato ieri la sua fiducia. Del suo discorso io ricorderò il passaggio sulla forza degli Stati Uniti che non è né l'economia né le armi bensì la democrazia. Lui e il suo avversario ne sono stati la dimostrazione.
E l'Europa? Sino ad ora abbiamo fatto fronte ma io condivido appieno il titolo de Foglio di oggi: salutiamo colui che ha sconfitto Moore! Alle scorse elezioni ero certo che la campagna Moore anti Bush avrebbe portato solo voti a quest'ultimo e così è stato. Lo considero per giunta un documentarista disonesto e come comunicatore un propagandista pericoloso. Personalmente non amo nemmeno i democratici alla Clinton e quindi di solito non mi entusiasmo per le presidenziali americane. Per questo credo che McCain e Obama siano stati il segno di una svolta epocale. Paradossalmente i primi segni di questa svolta sono proprio nei neoconservatori. Sono stati lori il vantaggio repubblicano e il richiamo di Obama ai valori profondi dell'America unito al sentimento di religione civile sono debiti verso questa impostazione. Coloro che si immaginano Obama come il presidente liberal pacifista e anti guerra si sbagliano e rimarranno delusi. Obama avrà una politica protezionista in economia. In politica estera, invece, gli si offrono due strade: o un unitalateralismo debole in linea con la storia del partito democratico o un riequilibrio tra uso della forza e politica che è la strada già indicata dai neoconservatori. La crisi potrebbe indurlo sulla prima strada dovendo risparmiare risorse economiche a scapito degli armamenti e dei contingenti di guerra. Io non me lo auguro. La peggiore storia degli USA in politica estera è il frutto di questo, a cominciare dai dittatori canaglia disseminati con l'unico obiettivo di levarsi i problemi senza intervenire più di tanto. L'America oggi sa però che non è più l'unico ago della bilancia e deve riconquistarsi una centralità che da solo il dollaro non gli garantisce più. Questa non è la strada infatti di Obama. Il ritiro stesso dall'Iraq è solo una questione un po' tattica e un po' propagandistica. In realtà Obama ha ricordato a tutti che una guerra più importante è da compiersi nello scenario pakistano e afgano. Dal punto di vista strategico Obama è più "guerrafondaio e interventista" dei repubblicani. Solo che giustamente dice che si devono usare le armi ma ancor di più la politica e questo vorrà dire che ci chiamerà in causa come alleati. Per il pacifismo europeo sono dolori. Lo stesso per l'economia se si pensa al protezionismo. Per me la grandezza di Obama potrà misurarsi sulla sua capacità di mobilitare l'America sulle questioni energetiche mettendo fine all'era del petrolio e contemporaneamente cambiando radicalmente lo scenario medio orientale sotto il ricatto di questa dipendenza energetica. Il mio piccolo grande sogno è questo. Se lo farà anche l'antiamericanismo europeo sarà portato allo scoperto o quanto meno smascherarato, compreso quello di tanti fan di oggi di Obama solo perché è nero e anti bush.
Di certo per ora c'è che l'America si rimette in gara per essere motore nel mondo di progresso e democrazia... e io ne sono stra-contento!

A GRANT PARK CON OBAMA

02 novembre 2008

SATURDAY NIGHT LIVE