19 dicembre 2007

ARBEIT MACHT FREI?

Effetti ipnotici dei raduni di massa: assorto come di rado nei miei pensieri mi sono chiesto quale sciocchezza sia questa "sacralizzazione" del lavoro. Chi, come me, ha fatto il 77 si era buttato alle spalle queste ovvietà della sinistra storica (la si definiva così in quei tempi). Il lavoro è innanzitutto una merce (chiaro no? il lavoro è quello che noi mettiamo in vendita del nostro saper fare). Chi è quel pazzo che vorrebbe mettere una merce alla base di un patto civile come la Costituzione? Da noi è stato fatto ("L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro") ma la cosa peggiore è che oggi nemmeno negli ambienti della sinistra più radicale sento un eco di quella critica radicale del lavoro. Tutti vanno orgogliosi di questo articolo primo che è invece un'oscenità, una negazione del vero valore della concetto di cittadinanza che è il cardine della democrazia. Anche Grillo si scaglia contro la precarietà con argomenti non solo pratici, che tutti approvano se dimostrati veri (ma di cui è legittimo quindi dubitare). Egli invece naviga in questo mare dove il lavoro è fonte di identità. Eppure proprio il web e, ancor più, l'era nuova del web (quella per intenderci dove nasce un'enciclopedia con il lavoro collettivo di tutti coloro che ne usufruiscono, fuori quindi dalla condizione del lavoro e del vendere prestazioni che ne è alla base) è testimone che il legame tra identità e lavoro è finalmente saltato in aria. Una delle poche profezie marxiane che si stanno attuando. Che poi questo non voglia dire necessariamente "liberazione" né tanto meno "liberazione dal lavoro" è un'altra cosa. In ogni caso qualcuno a sinistra dovrebbe iniziare a provare imbarazzo per quella frase nei campi di concentramento sul Lavoro che Libera l'Uomo. Non si trattava di ironia! Il lavoro è una maledizione divina, pone la condizione umana come condizione tragica. E' sbagliato volersene liberare (perché sarebbe un'utopica palingenesi foriera solo di tragedie) ma è altrettanto sbagliato voler cantare la condizione umana come armonica e organica. La solita questione della Modernità che troverà soluzione nella Post Modernità solo quando si sarà ristrutturata sulla condizione tragica dell'umano di cui essa stessa rappresenta il punto limite di arrivo. Il problema (nuovo rispetto all'uomo Greco che è l'iniziatore di questo processo bimillenario) è che nella Modernità si è tornati a questa condizione ma toccandone il limite, il Limes. Non c'é più il centro della Polis a governare questa condizione e si è soggetti ad una forza centrifuga che fa nascere istinti centripeti.  Accadde la stessa cosa alla fine dell'Impero Romano e da allora fu interrotto infatti quel processo di cui parlavo. Non dimentichiamoci che corrispose alla fine di quella divisione storica del lavoro che aveva reso possibile la prima modernità, quella greco romana. Parlo ovviamente della Schiavitù. Finita la schiavitù crollò il suo corollario ossia la cittadinanza. Ne conseguì un ideale organicista del rapporto tra uomo, natura e società ossia il sistema feudale. Senza dirselo, si trasformarono tutti in schiavi. Il ritorno alla classicità del pensiero Greco, il ritorno alla centralità dell'economia di scambio e con essa della borghesia, il ritorno della Polis, mettono fine al sistema feudale ma non è un cerchio che si ripete quanto una spirale che si ripete sì ma ogni volta nuova. E questa volta la schiavitù si chiama lavoro salariato ma non è più escluso dalla cittadinanza, quasi il contrario diventa paradigmatico della condizione umana mentre chi se ne affranca realmente entra quasi in una condizione di invisibilità. Oggi questo processo sembra essere giunto alla sua fine, ad un punto limite. L'uomo libero è altro dal lavoratore, è individuo, persona, piuttosto è un consumatore. A cosa deve corrispondere la fine di questo scenario moderno che ha nel lavoro salariato il corrispettivo della schiavitù antica? Vogliamo un altro crollo e nuovi organicismi? Io no e non ho nostalgia dei crolli che i tentativi rivoluzionari sia di destra (fascismo) sia di sinistra (comunismo) hanno subito, ma non per questo voglio sentirmi meno capace di una critica (forse sarebbe meglio dire comprensione, per non essere equivocati, ma la critica è una comprensione attiva, militante, ossia rivolta al futuro e quindi alla politica e non alla mera storicizzazione) radicale del presente. Scusate "compagni" se è poco...

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