01 settembre 2010

Venti di cinema libero e onde sonore libertarie

Estate 2005. Sponsor il Vento del Cinema. Dovevamo giungere ad Atene per incontrare il Presidente della Fondazione Mercouri, che si batte per il ritorno, dal British Museum in Grecia, dei Marmi del Partenone. Ci saremmo trovati di fronte ad un signore molto anziano e dall’aria aristocratica: Jules Dassin, classe 1911, regista di film che fanno ancora scuola, come “The Naked City” (1948), o “Rififi” (1955) pellicola che darà vita al genere Polar in Francia, o ancora “Topkapi” (1964). La storia di questo regista, un pò dimenticato, affonda nell’America di Roosevelt e dei primi passi dell’Actor’s Studio. Esordisce con il documentarismo sociale e in realtà non tradirà mai questo sguardo “crudo”, tanto che, per la crudezza delle sue storie di malavita, Dassin nel dopoguerra dovrà fuggire da un’America imbarbarita dalla Guerra Fredda, l’America della caccia alle streghe maccartista. Una caccia al comunista che oggi si scopre essere stata una vendetta antisemita contro un’industria che vedeva gli ebrei in ruolo dominante: quella di Hollywood. A denunciare l’ebreo Dassin, era stato un suo compagno dell’Actor Studio, un grande regista proveniente dall’Oriente europeo: Elia Kazan. Il quale non si pentirà mai della sua scelta patriottica e anticomunista. Di origine armena, dedicherà uno dei suoi film più belli a quelle radici che vorrà lasciare lontane: “America America” (1963). Jules Dassin, invece, proviene da una famiglia di ebrei ucraini ed è già pienamente naturalizzato negli USA ma, dopo l’esilio, scoprirà proprio nel Mediterraneo le sue nuove radici. Un doppio percorso, umano, artistico, politico, addirittura quasi geografico, opposto, l’uno contrario all’altro. Ma torniamo all’esilio. Non protetto da alcuna rete perché non iscritto a nessun Partito, Jules Dassin proverà a lavorare prima in Inghilterra, poi in Francia e infine anche in Italia. In Puglia, a Carpino, nel 1958 gira “La Legge” con un bravissimo Paolo Stoppa, il divo Yves Montand, una non gradita aspirante diva, Gina Lollobrigida e Melina Mercuri, conosciuta l’anno prima in Grecia sul set di “Celui qui doit mourir” dal romanzo di Kazantzakis. Ancora un primato per Dassin: un romanzo di Kazantzakis è per la prima volta adattato per lo schermo ma altri ne seguiranno, come “Alexis Zorba”, con il mitico Anthony Quinn e il famoso tema musicale del Sirtaki, o “The Last Temptation of Christ” di Scorsese.
Un amore, quello per la Mercouri, che nasce dunque sul set ma che riporta Dassin all’impegno politico, forse mai come prima. Nel 1968 torna al documentarismo, per Israele, dove gira “Hamilchama al hashalom” (1967), in Italia ancora inedito. Innamorato della Mercouri e dell’idea di una centralità del mondo greco antico, Jules Dassin sposa sia l’attrice, nel 1966, sia la causa della lotta al regime dei Colonnelli in Grecia, subendo con lei un secondo esilio in Francia. Con l’opera geniale “The Rehearsal” (1974) Dassin torna negli USA insieme alla moglie per mobilitare l’opinione pubblica democratica americana contro i Colonnelli. Quante storie dietro questo signore americano che dà battaglia perché i Marmi del Partenone ritornino nell’Acropoli di Atene. Ha fatto costruire un padiglione vuoto in attesa di poterli ospitare e dedica a questa battaglia tutta la sua vita ormai novantenne. Le statue dal British Museum non sono mai partite e nemmeno noi raggiungemmo più l’anziano regista. Il medico ci proibì di intervistare Dassin ormai gravemente malato e con una memoria compromessa. La RAI non volle mantenere il progetto senza la sua testimonianza diretta e i traghetti per la Grecia sono continuati a partire ma senza la nostra troupe. Nel 2008 Dassin è venuto a mancare. Dopo la morte della moglie, avvenuta tredici anni prima, Jules aveva creato e diretto la Fondazione Melina Mercouri dedicandovi tutta la sua vita. La memoria di lei in Grecia era ed è vivissima, protagonista della lotta politica contro i Colonnelli, primo Ministro della Cultura della Grecia democratica, la prima a chiedere alla Gran Bretagna la restituzione dei Marmi del Partenone. Con lei continuerà a girare qualche film in Grecia, meno conosciuti ma non meno importanti, come la Medea “Kravgi gynaikon” (A dream of passion) del 1978, il cui soggetto nasce in Italia ma che da noi è rimasto inedito. Fu infatti Aldo Fabrizi a trascinare con se Dassin in un aula di tribunale per seguire il processo ad una donna che aveva ucciso i propri figli. Anni dopo Dassin ne fece un film con la Mercouri, sua compagna di vita. Ma con lei Dassin aveva interpretato una delle più divertenti pellicole di autorappresentazione, “Never on Sunday” (1960): se stesso nel ruolo dell’intellettuale americano e la Mercouri nel ruolo “rivoluzionario” di una prostituta che si sceglie i clienti ma non lo fa mai di domenica. Un film ancora giovane. Ancora una volta un film che mette in moto un processo, un nuovo vento del cinema.
Inno della liberazione sessuale dal film nacque il successo della canzone "I ragazzi del Pireo". In Italia venne cantata da Milva e Dalida ma con un testo censurato e stravolto, unico paese al mondo, era il 1960, da allora vi sono state 400 versioni del brano, riscritto in ogni lingua del mondo ma forse sarebbe il caso di riscriverne le parole in italiano e rendere l'omaggio dovuto ai suoi autori. La colonna sonora di "Never on Sunday" dette infatti l’avvio al successo internazionale di musicisti quali Manos Hadjidakis e Mikis Theodorakis, autore per l’appunto, nel 1964, del famoso Sirtaki “il ballo di Zorba” di cui sopra e che senza Dassin forse non ci sarebbe stato. Sono questi musicisti, grazie a questi film, che lavorarono sui temi della musica popolare greca per trasformarla in un’onda sonora che caratterizzerà gran parte della musica pop degli anni 60 e a cui, oggi, PietrecheCantano dedica giustamente questa edizione del Festival in Valle d’Itria.

1 commento:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.