21 maggio 2003

PRIVI DI NATURALEZZA

Cosa ci rende così incapaci di naturalezza nella messa in scena? Quale rapporto abbiamo con lo specchio tanto da dover sempre ricorrere alla rappresentazione, alla indicazione di qualcosa, così incapaci di lasciarlo scorrere davanti a noi? Torno a casa dall'aver visto La Casa delle Donne, un film felicemente malato ma non di baresità quanto di misoginia e carnalità, e mi imbatto nello splendore semplice, sereno, di un film taiwanese, Dust in the wind, di Hsien Hou. Rimango incantato dalla naturalezza con cui tutti, bambini, anziani, giovani, sono lì di fronte a me, io alla finestra del mondo. Tanto fastidiosa è la deriva compiaciuta, degli applausi ottusi della cinefilia internazionale, del cinema iraniano, tanto limpida è la bellezza di questo cinema taiwanese, non tanto di quello sotto i riflettori quanto di quello più rigoroso. Ricorda Ozu e nient'altro ma lo confesso mi piace anche di più. La cosa sorprendente è quanto sia narrativo senza aver bisogno della drammaturgia, e questo è il mistero del modo in cui tutti, attori e comparse, si pongono davanti alla macchina da presa. La vita ti scorre di fronte agli occhi e basta questo perché si dispieghi nel suo racconto. Un miracolo! Perché invece a noi riescono solo le parodie? La Casa delle Donne è un film celato sotto il parodismo che non gli è assolutamente funzionale ma che lo abbraccia come una seconda pelle, uno strato di pellicola opaca sopra la pellicola, una digitalizzazione formale quasi non si avesse la luce, la materia per dare vita al racconto. Perchè? E' un problema di buona parte del cinema europeo, anzi no, del cinema europeo. E non solo.

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