01 dicembre 1992

POSTAZIONI PER LA MEMORIA

APPUNTI SUL LAVORO DI POSTAZIONE PER LA MEMORIA
postfazione
Questi appunti sono stati scritti in tempi differiti, nel corso dei quattordici mesi trascorsi dalla proposta di Ermanno Olmi di "postazione permanente". Li ho iniziati a scrivere dopo una riunione del gruppo sud-est, come resoconto delle cose dette. Poi li ho trasformati, riletti, ampliati, portati a termine con aggiunte che nascevano dal lavoro di postazione per la memoria svolto a Bari in questo periodo di tempo. Rimangono comunque degli scritti episodici e non li ho voluti trasformare in un corpo unico perché gli argomenti trattati avrebbero richiesto una maggiore ambizione di trattazione. Spero invece sia possibile perdonarmi il tono affettato e talvolta ingenuamente saccente che hanno sempre i miei appunti.

1 Credo che la proposta di Ermanno di postazione per la memoria "permanente" non vada confusa con il desiderio latente di una scuola a tempo pieno , nè pertanto vada intesa come cambiamento del corpo di regole e paradigmi su cui Ipotesi Cinema si è costruita in questi anni. Volendo confrontare - solo per comodità - Ipotesi Cinema ad una Università, qui si tratta di impiantare una ricerca e di darsi un anno di tempo per considerarne i primi risultati. Non potendo aderire in prima persona all'invito di trascorrere un anno a Bassano del Grappa ritengo comunque di potermi considerare interno all'idea di un lavoro di ricerca "permanente" di cui il gruppo di stanza a Bassano diventerà il principale attivatore. Sono dell'opinione, come molti, che questo lavoro possa considerarsi il cuore di Ipotesi Cinema e che intorno ad esso possa definirsi uno statuto di Ipotesi Cinema come "scuola per autori".
2 Se il campo di indagine è l'immagine filmica, qual'è invece il bisogno che ci muove ad una ricerca? A Bassano, nel corso dell'ultima riunione con Ermanno, è emerso con forza il disagio di fronte ai mezzi di comunicazione televisivi e filmici. Lo si potrebbe riassumere in uno slogan: la comunicazione ha distrutto la comunicazione. Quindi il problema è: come tornare alla comunicazione, ovvero ad un'immagine filmica che contenga verità, che torni a comunicare, che riscopra la sua necessità d'essere.
3 Una simile ricerca non può misurarsi direttamente con le naturali aspettative produttive di chi vuole esordire, con il voler fare un film. Essa deve assumersi il rischio di negare l'immagine filmica. Il suo orizzonte negativo sarà la 'negazione dell'immagine'. La domanda è così radicale che non si può non considerare l'ipotesi di un fallimento, in tal caso la risposta sarà: "nessuna comunicazione è più possibile attraverso il mezzo filmico". Nessuno ci obbliga infatti a fare cinema, solo una urgenza intima ci spinge a farlo ma le ragioni della non-comunicazione possono essere anche esterne al campo d'indagine sulla qualità poetica del prodotto filmico. Possono essere nel rapporto che si è instaurato negli ultimi due decenni tra spettatori e cinema, possono essere nella società stessa, o altro ancora.
4 Si tratta dunque di riconoscere una urgenza e metterla a nudo di fronte alla realtà esterna. V'è sottintesa una scelta di campo, una scelta etica prima ancora che estetica: il cinema dell'urgenza, ovvero il cinema come poesia, come tocco di verità. Ed è una scelta estrema perché non elude la possibilità della sconfitta: se non c'è posto per la poesia, non c'è posto per il cinema dell'urgenza. (Quest'inverno ho ospitato Nuori Bouzid a Bari, per una sua personale. Il cinema di Bouzid ricorda davvero il nostro neorealismo, è un cinema che esclude la possibilità di chiedersi "è bello?" perché è in primo luogo vero e necessario. Nouri compone poesie con naturalezza, intorno alla tavola o mentre si percorre in auto la città nel traffico, com'è tradizione ancora viva nei popoli maghrebini. "Zoccoli d'oro" ha come Soggetto una sua poesia! Anche lui mi dice: "oggi il cinema italiano manca totalmente di urgenza, per questo è brutto!". Ha usato proprio questo termine: urgenza. E ci siamo subito intesi.).
5 Questa intima urgenza dev'essere in primo luogo riconosciuta, vivificata e protetta, oltrechè alimentata. La postazione per la memoria ha questo come primo intento: riconoscere il nucleo poetico sotteso ad ogni urgenza di comunicare. Se forte questa urgenza non avrà bisogno di protezione alcuna di fronte alle maglie produttive sempre più rigide che il Mestiere di regista offre. Se debole essa andrà invece protetta ed esercitata per mezzo della postazione. La postazione per la memoria nasce dunque da una debolezza e d'altro canto solo questa debolezza giustifica l'esistenza di una "scuola" per autori. Tuttavia è un errore pensare che questa debolezza si esaurisca con l'inizio di una attività autoriale.
6 Al contrario, essa rimane sempre in agguato. Di qui la necessità di assumere la postazione per la memoria come "metodo permanente", come esercizio a spostare costantemente la propria attenzione a ciò che viene "prima del cinema". Credo dunque che la postazione "permanente" proposta da Ermanno aspiri anche a questo, ad essere uno Spazio, un luogo di incontro e confronto tra chi il cinema già lo fa e chi lo vuole fare ed arriva a Bassano con questa aspirazione. I sopralluoghi, gli appunti filmici, i provini, gli scarti di lavorazione; tutti questi materiali possono confluire in uno spazio di confronto, in un momento di pausa dalle preoccupazioni produttive. Sono convinto che la postazione include anche questi materiali "primitivi" del cinema "alto". Sono convinto che è postazione anche guardare i materiali, i film o la televisione con questa attenzione soggettiva. (Per inciso: credo che gli appunti filmici di Pasolini - in particolare gli "Appunti per una Orestiade africana" - siano un esempio 'alto' di postazione per la memoria.)
7 Ma torniamo per un attimo al sentimento che ci spinge a Bassano, all'aspirazione a fare cinema. Cosa spinge un bambino a parlare? L'urgenza di comunicare. Diversamente: chi si avvicina al cinema con l'ansia di mettersi alla prova è più simile ad un adolescente. Mentre il bambino evolve per necessità, l'adolescente è spesso corrotto dalla urgenza non più di comunicare bensì di divenire adulto. Egli finisce per evolvere a causa dell'invidia che prova per l'età adulta; alla urgenza di comunicare viene a sostituirsi l'urgenza di simulare. Così il giovane-aspirante-autore viene corrotto dall'urgenza di divenire regista, anziché coltivare la propria urgenza di comunicare. Siamo tutti degli adolescenti - come ad essi si nega la sessualità, così a noi si negano le possibilità creative - che devono invece tornare bambini.
8 La postazione per la memoria prima ancora di essere l'invito a fare i propri sopralluoghi, ad andare dove qualcosa ci chiama ad essere, ha un ruolo dialetticamente negativo, è l'invito all'azzeramento, al Nulla, alla (Non)Azione, a ritrovare quella capacità al silenzio ed all'ascolto che è la forza suprema di ogni azione e di ogni fare.
9 In questo senso ogni postazione "fallita" varrà mille volte di più di ogni "appunto per un film", sempre che realmente sia stata un salto nel vuoto. Diversamente molte postazioni oggi falliscono perchè eludono il Nulla e si danno un progetto filmico prima ancora del salto. Non esiste mai una postazione riuscita, questo il paradosso non ancora individuato in tutte le discussione su cosa è la "giusta" postazione per la memoria. Questo dovrebbe anche chiarire che la postazione non è mai un esame, se fosse tale varrebbe la legge del paradosso: ovvero vince chi perde! Ma chi perde, colui che pur tradendo lo spirito della postazione si mantiene fedele al proprio nucleo poetico e costruisce un breve frammento filmico, o viceversa colui che per mantenersi fedele alla capacità di ascolto preferisce perdersi nella ricerca di una verità? Il lavoro di postazione per la memoria si situa all'interno di questo percorso che va dal Nulla al Pieno, dal Fallimento all'Appunto per un Film, dalla pura Postazione (il fallimento per l'appunto) al Film già compiuto (poiché l'appunto filmico è già un prodotto filmico, merita un titolo, etc. etc., e non è più dunque postazione). E' evidente che gran parte delle postazioni si situeranno nel mezzo di questo percorso, chi più da una lato, chi più da un altro. Ogni postazione al suo stesso interno potrà mantenere uno sviluppo discontinuo, con parti montate ed altre semplicemente ripulite o di nuda ripresa, con parti nulle e con parti nate già in modo filmico.
10 Ho sentito spesso parlare del problema del montaggio delle postazioni e lo ritengo un falso problema che inibisce spesso l'edizione e l'ordinamento dei materiali: quando si entra in contatto con una realtà per mezzo dello strumento filmico si autodefinisce un rapporto che in nuce contiene già il montaggio. Certo, diverso è il lavoro di montaggio filmico. Questo reinstaura un rapporto ex-novo con i materiali di ripresa. Eppure sono convinto che questi contengano già un loro montaggio interno, discontinuo per l'appunto ed ancora grezzo rispetto ad una precisa esigenza filmica. Il montaggio della postazione è dunque niente più che rendere evidente il rapporto che si è instuarato con la realtà al momento delle riprese. E' sviante pertanto ritenere che la camera fissa od il non montaggio siano più puri del montaggio alternato o della frammetazione ritmica. (Quando ho montato a Bassano "Karate San Paolo" tutto questo mi è diventato chiaro ed evidente. Ho ripreso l'allenamento, con la ragazza intenta a dare ordini, sempre avvertendo la frammentarietà, l'esistenza di brevissimi attimi di verità, dentro le pieghe di piccoli gesti, veloci di gomito o di occhi. Diversamente nel riprendere i bambini più piccoli sono stato attirato dallo scorrere del tempo, piano e continuo, come un fiume, ed infine ho deciso di lasciare la camera fissa dieci minuti su uno di loro. Di conseguenza nel montare non mi sono fatto alcuno scrupolo nell'alterare lo scorrere del tempo e nel falsificare la continuità spazio temporale dell'allenamento, era altro il nucleo a cui dovevo rimanere fedele, lo stesso che avevo "sentito" durante le riprese. E nessuno scrupolo poteva nascere nel rompere il ritmo ed inserire i dieci minuti di camera fissa: è sbagliato per gli standard filmici ma corretto per comunicare la mia esperienza.) In conclusione: credo che tutti debbano finire il lavoro di postazione arrivando anche al montaggio dei materiali ed affrontandolo senza reticenze, semplicemente fuori dagli standard. La postazione non è un film ma percorre tutte le procedure del film: la decisione di prendere la camera, il filmare, il montare e confezionare infine un prodotto. L'importante è non spingersi oltre, non definire una connotazione di questo prodotto.
11 Vorrei dirlo con forza: sono contro ogni estetica della postazione. Credo che il progetto postazione per la memoria sia nato con una ambiguità di fondo. Si è definito ciò che non doveva essere definito: la postazione come indagine (ma questo è gia un connotato da prodotto filmico, anzi televisivo e giornalistico-sociologico), la postazione come archivio (ma questa è un'altra connotazione filmica da antropologia visuale), la postazione come annullamento (ma la camera fissa è anch'essa solo una modalità filmica), la postazione come casualità (ma escludere il proposito non può divenire anch'esso un proposito). Non esiste un metodo giusto, non esiste un argomento giusto, la postazione è qualcosa di unico, di riconducibile alla sola soggettività di chi la opera. L'unica cosa che si può dire è se parte col piede sbagliato o giusto. Per esempio, darsi sin da principio un assetto filmico è quasi sempre un errore eppure può anche non esserlo se subito il nucleo poetico si presenta all'evidenza e conduce il gioco: vale pertanto il vecchio ed abusato proverbio cinese, "quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito". ("Un sabato di maggio" nasce da una postazione fallita, iniziata male. Ero andato presso una casa alloggio per conoscere una ragazza madre, ne era nato un primo incontro che non mi aveva soddisfatto, essendosi subito trasformato in una intervista "sensazionale". Decisi di tornare per chiedere alla direzione della casa di lasciarmi passare una giornata insieme alla donna. Lei era consenziente, le avevo spiegato che non volevo intervistarla, che non cercavo il sensazionale. Belle parole! Di fatto la Direzione non acconsentì a farmi entrare nella stanza ed io tornai indietro dopo aver preso con la donna un appuntamento esterno. La mia postazione era finita, avevo realizzato il giorno prima un'ora di intervista ed ora, con la forza dell'abitudine, mi accingevo ad aggiungere qualche immagine sulla casa alloggio e sui dintorni. Ero intento a riprendere un cartello posto sulla riviera, con l'indicazione per la casa, quando si sono appannate le lenti. Ho ripetuto snervato la ripresa più volte, e le lenti si appannavano di nuovo. Infine un gruppo di ragazze frena con l'automobile sotto di me. Mi volto spaventato e vedo aprire un parasole di cartone sotto il vetro del parabrezza: è colorato con una grande scritta "W le Vacanze!". Mi sono accorto improvvisamente che intorno a me c'era una piccola umanità intenta a rilassarsi al primo sole di maggio. Era sabato e mi sono fermato lì per la mia postazione. Vi ero giunto guidato da un intento, quello di mettere insieme degli appunti visivi per un film su Orfeo, ne sono tornato con un appunto casuale, una postazione da cui è nata anche quella di "Karate San Paolo". Eppure se non avessi insistito nel condurre a fondo l'errore della predeterminazione non sarebbe giunta l'auto di quelle ragazze sotto i miei piedi. E' la vecchia frase di Renoir, valida sempre, anche durante il Mestiere: bisogna essere puntigliosi nella preparazione e nella conduzione ma sempre bisogna ricordarsi di lasciare anche una porta aperta.)
12 Se la postazione ha il carattere della singolarità autoriale, se essa riconduce alle urgenza poetiche di chi la compie, è naturale che l'orizzonte positivo di ogni postazione sarà un progetto produttivo, un film. Quando maturo, questo progetto potrà anche prendere forma, trasformando la postazione in un "appunto per un film". E' quanto detto a proposito della postazione come punto di incontro. Per altri versi è la rivalutazione non cinefila ma poetica del sopralluogo filmico, dell'appunto, ovvero un film realizzato per spiegare cosa ci spinge a voler fare un film ed insieme per cercare dentro la realtà le ragioni del nostro muoverci in sua direzione. (Il mio "Appunti per un film su Orfeo" deve ancora trovare forma visiva ma sino ad ora mi ha consentito di trovare altri materiali. Nel frattempo si è trasformato in due cartelle, con una scaletta per il trattamento, ma è già composto di diverse postazioni che potrei mostrare senza forma o che possono attendere una loro forma compiuta nel modo filmico de "l'appunto per un film". Potrebbe accadere in ogni istante, appena ne sentissi l'esigenza come strumento di comunicazione del mio progetto - per Ipotesi Cinema o per un produttore, e così via - ma potrebbe anche non accadere mai perchè il tenerlo aperto mi consente di accumulare materiali. Tutte le mie postazioni sono riconducibili negli intenti a questo progetto, ma tutte lo tradiscono nella realizzazione.)
13 Abbiamo definito gli orizzonti, uno negativo, l'altro positivo. Ci troviamo tra lo 0, la negazione dell'immagine, e l'1, il film. Per raggiungere l'1 dobbiamo rischiare il salto nel vuoto, nella infinita serie di punti che separano lo 0 dall'1. Di cosa è fatto dunque il nostro percorso? Non di parole ma di prassi filmica, di una prassi che svolgerà il ruolo della sperimentazione nella ricerca di laboratorio. La domanda sarà: cosa rende comunicativo un film? per rispondere a questa domanda bisognerà sperimentare una prassi filmica, senza partire da un progetto produttivo che la contenga. (E' per me il caso di quasi tutte le postazioni realizzate. Quando invece c'è un progetto le postazioni sono rimaste incompiute: prima parlavo degli "Appunti per un film su Orfeo" ma vi sono anche dei sopralluoghi mancati: quelli su Loseto e quelli su L'Assunta. Il primo mi sfugge di mano; sono andato sul posto ogni volta con un'idea diversa, maturata dall'ultimo incontro, ed ogni volta ne sono tornato con le idee più confuse. Non riesco ancora a capire cosa mi attira in quel Sito - Lo Seto, per l'appunto - eppure ogni volta ci torno con una nuova idea, puntualmente smentita dal nuovo incontro. L'Assunta è invece un antico progetto, così definito che l'andarci m'infastidisce. Si tratta di un paese piccolissimo, attraversato al centro da una Superstrada, un tempo la strada principale del paesino. Così anche la mia idea di film nasce più dall'attraversare velocemente questo luogo che dal conoscerlo realmente. Anche Loseto è un paese "fatto in due" da una strada, da un lato il paese vero, antico, dall'altro un gruppo di case di edilizia popolare, con gente che viene dalla città e non conosce nessuno del paese originale. Talvolta è sufficiente spingersi in un posto e basta. E' il caso di "Processione 167". C'è una processione in un quartiere popolare moderno. E' sufficiente andarci e riprenderne lo scorrere. Se ne viene la voglia.)
14 Immaginiamo ora questa linea retta che conduce dallo 0 all'1. Da un lato, sul punto di partenza, ci possiamo mettere la Realtà, dall'altro, sul punto di arrivo, l'Immagine. Il Cinema, prima ancora che "come Arte" bensì già "come Tecnica", è un percorrere avanti e indietro questa linea. Quando riprendiamo usiamo pezzi di realtà visiva e sonora per costruire una Immagine. Quando questa viene proiettata accade invece il contrario, che un banale supporto fotografico si proietta nelle nostre menti rimandandoci indietro, di ritorno, nella realtà. Per questo il Cinema è magico e realista insieme, o meglio è tanto più magico quanto più è realista. La postazione per la memoria credo non sia neutrale, è una scelta di campo per una estetica realista del cinema. Affascinati dall'oggetto filmico ci si avvicina a questo dimenticandosi che per costruirlo dovremo saper "rubare" momenti di realtà (anche la finzione è fatta di momenti di realtà, indotti non ricreati - altrimenti è mera rappresentazione). Credo sia questo il senso dello slogan del convegno proposto da Ermanno: "Prima del Cinema". Ed in questo senso mi viene di rispondere: cosa c'è prima del Cinema? Il Cinema. Esso è infatti un potenziale già incluso in ogni realtà, non è un linguaggio, non ha grammatiche, parla lo stesso linguaggio della realtà. Fare postazione per la memoria è dunque un esercizio per l'apprendimento del linguaggio del cinema: la realtà! Tutte le grandi intuizioni di "linguaggio filmico" sono nate dentro le pieghe della realtà, così come percepita dall'uomo. Tutte le regole del mestiere sono invece finte perché possono essere capovolte o reinventate per ogni film se nel realizzarlo ci si mantiene "dentro il reale". (Si può accusare tutto questo di ingenuità ma spesso questa accusa nasconde una ingenuità più profonda e meno innocente: credere che la realtà esista nei modi in cui la percepiamo a prescindere dalle modalità stesse di percezione.)
15 Cosa voglio intendere con linguaggio. L'uomo crea il mondo con le parole. Attraverso le parole strappa le cose alla loro naturale ambiguità e confusione. Le cose non esistono, il mondo senza uomo è indeterminato, è fatto di onde in un mare indistinto, si possono definire le onde? Noi lo facciamo attraverso le idee (la cui radice "id" ci rimanda ad un principio di identità nascosto nelle pieghe del vedere) e le nostre idee si trasformano in parole. Così il linguaggio non è uno specchio per quanto deforme della realtà bensì è una rappresentazione della realtà e quindi una sua reinvenzione. Eppure la parola conserva una sua ambiguità originaria: essa delimita un oggetto, dico "tavolo" e definisco con forza un oggetto in primo luogo attraverso la sua funzione di 'piano sollevato da terra per appoggiarci qualcosa', eppure se voglio capire cosa si intende con tavolo dovrò esplorare tutti i limiti di questa definizione. E' questo il gioco, è questa la poesia, è questa la prosa quando conserva il suo nucleo poetico: il bambino per prima cosa si nasconderà sotto le gambe del tavolo o spingerà il bicchiere sino al bordo o rimarrà affascinato dal vedergli tagliare le gambe per ricavarne legna da bruciare, e così via. Il poeta è colui che scardina i limiti delle parole per farci avvertire questo confine sacro che è all'origine della creazione umana del Mondo. Il narratore userà invece quelle parole senza metterle in discussione ma con esse inventerà storie; anche lui tornerà ad essere bambino e ad esplorare nuovamente i confini del Mondo. La paura del bambino, la paura del buio in cui i confini delle cose si perdono ed i tavoli possono camminare o schiacciarsi per terra, questo è il sentimento che ci riconduce alla realtà ultima, oltre il linguaggio stesso. Il Cinema può fare questo utilizzando il materiale primigenio, l'oggetto del nostro vedere, quella realtà su cui si poggia il nostro pensiero: non possiede alcuna parola, non dice "tavolo" bensì lo mostra. Il Cinema elude il linguaggio e funziona come specchio deforme delle cose, come immediata illusione di realtà. E' questo anteporre le cose alle parole che avvicina il cinema alla poesia più di ogni altra arte, forse più della poesia stessa, ed è in questo senso che andrebbe riformulata la definizione di realismo poetico. Non il realismo come impegno, non il realismo come tradizione letteraria, bensì il realismo come forza poetica del cinema. La proposta di Ermanno di puntare tutto sulla postazione per la memoria mi ha fatto pensare anche a questo: alla possibilità di riaprire in termini nuovi e ancora più radicali il dibattito sul realismo cinematografico, abbandonato da qualche decennio. Ed in mente mi tornano alcuni nomi: l'Antoine dell'Hirondelle et la mésange, Vigò, Pasolini, Fassbinder, Bouzid, Kiarostami... ed oggi in Italia, Amelio e Pozzessere.
16 Cosa rende dunque il Cinema necessario? Si potrebbe fare a meno del cinema pur comunicando, forse comunicando di più, in una realtà sociale meno complessa. Eppure noi abbiamo bisogno di fare cinema, ed al nostro bisogno di farlo corrisponde un bisogno di vederlo. Se gli antichi greci avessero inventato il cinema ne avrebbero avuto subito bisogno. Di più: il coro greco della tragedia esprimeva già questo bisogno. Qual'è dunque la funzione che il cinema assolve? Torniamo alla nostra domanda: cosa rende il cinema necessario? La nostra ricerca non può fermarsi al bisogno-aspirazione di fare cinema. In una comunicazione vi sono sempre due soggetti, l'uno passivo ma referenziale, l'altro attivo. Dobbiamo allora chiederci: per chi vuole vedere il cinema, anziché farlo, quale urgenza si pone? Non certo quella meramente contemplativa ed estetica. Né quella intellettuale. Piuttosto è lo spettacolo ad attirare il pubblico, a patto che per spettacolo si intenda anche il teatro classico nell'antica grecia e gli affreschi religiosi nelle chiese del Rinascimento! Lo spettacolo dunque come luogo della comunicazione, dove si assolve alla funzione della scena tragica. L'idea nata dalla postazione sulla macellazione in piazza del porco, "Il Velo della Madonna", è che la natura dello spettacolo possa definirsi come scena O/scena, ovvero la messa in scena della vita nella sua integrità naturale, fuori dalla scena limitata/ante della vita sociale degli uomini. Lo spettacolo tragico deve conciliare, nuovamente, l'uomo con la natura, dare alla separazione da essa una ragione d'essere. Diverse arti hanno assolto questa funzione: il teatro, la pittura, ecc.. Oggi il cinema le sostituisce tutte. Ma cosa allontana allora lo spettacolo da questa funzione?
17 Disegna un cerchio per terra, ciò che vi rimane all'esterno è fuori scena. La condizione umana è come questo cerchio: oscena alla natura, oscena dalla natura, per natura. Essa pone dei limiti al comportamento, separa la comunità umana da quella naturale, il villaggio dal bosco. Essa definisce ogni cosa dandole un nome e strappandola a quella non-identità che è la natura propria delle cose. Il cerchio è in primo luogo il Verbo, l'identità che l'uomo dona alle cose, limitandole e definendole con le sue "immagini" e con le sue parole. Dentro questo cerchio in fin dei conti naturale, ovvero il cerchio della condizione umana nella Natura, diventa necessario per l'uomo tracciarne uno nuovo, artificiale, che riproponga in termini di gioco l'esplorazione di questo limite tra sé ed il mondo. Lo Spettacolo è questo cerchio artificiale, tracciato dentro un cerchio naturale, quello con cui la Natura ha posto la condizione umana. Lo Spettacolo è alle sue origini la riproposizione genetica di questo dramma. Il cerchio, la scena dello spettacolo (e quindi teatro, rito, arena per i gladiatori ma anche racconto orale, romanzo, quadro, schermo cinematografico e così via), mettendosi fuori dalla scena della vita umana riapre il gioco delle possibilità, rimette in discussione ogni identità, crea dunque una scena oscena, per definizione. L'esplorazione dei limiti nelle arti spettacolari non è dunque un peccato ma una necessità. ("Il Dito" nasce da questo gusto per l'orrido quanto "Il velo della madonna". L'importante è non tradirlo con il sensazionalismo. Loredana ha perso nell'infanzia, con un gesto cosciente di automutilazione infantile, la falange di un dito. E' il bambino che mette in discussione anche i confini del proprio corpo, della propria identità. Per me era inevitabile compiere una postazione su questa storia, in specie per l'intimità che mi lega a Loredana. La sensazione di arto mancante, l'intrecciarsi di definizioni tra limiti corporei e della personalità hanno fatto di questa postazione a camera fissa la più definita delle mie postazioni.)
18 La scena tragica non è luogo estetico, è una realtà virtuale. La sua potenza comunicativa è strettamente connessa alla forza illusoria di riprodurre la realtà, anziché di rappresentarla. Un tempo non v'era rappresentazione che potesse fornire questa illusione e si ricorreva alla voce del Coro per vedere la tragedia tramite il suo narrare. Il Coro raccontava agli spettatori qualcosa che accadeva davanti ai suoi occhi ma rimaneva invisibile a quelli del pubblico. Fuori dalla scena umana v'era qualcosa, per l'appunto, di O/sceno, che poteva essere narrato ma non riprodotto: la morte, l'incesto, la comparsa di un Dio, ecc.. Con il tempo è toccato alle arti sceniche, figurative o narrative evocare un'immagine virtuale della tragedia, in sostituzione della sua riproduzione o forse come compromesso tra la coscienza nobile dei Greci di una impossibilità a riprodurre ed il gusto volgare dei Romani per lo spettacolo osceno della morte. Dopo questo compromesso lo Spettacolo ha sempre conservato questa duplice origine: nobile e volgare e le Arti si sono contese nelle diverse epoche il primato di scena tragica. La comparsa del cinema ha relegato infine queste arti in un luogo estetico, autoreferenziale. Sono convinto che il cinema abbia azzerato questo percorso nel tempo della funzione tragica consentendole per la prima volta di possedere una "tecnica della realtà virtuale". Un tempo la parola del Coro deve aver spaventato gli ateniesi come il treno dei fratelli Lumiere, con la differenza che all'evocazione si è sostituita la riproduzione. Il mezzo utilizzato, parola o cinematografo, deve comunque conservare questa ambiguità: da una parte illuderci di riprodurre la realtà, dall'altra consentirci di conprenderne la virtualità. Prima mi spavento, poi penso: è soltanto un film. E viceversa. Infatti anche il cinema, come arte-fotografica-bidimensionale-dell'immagine-in-movimento-con-sonoro, è destinato ad essere relegato in un luogo estetico. Questo accadrà quando una tecnologia più impressionante del cinematografo avrà conquistato il corpo sociale ed emozionale degli spettatori. E' per questa ragione che il cinema "spettacolare" tende alla virtualità assoluta sin da oggi: nel suo futuro, non vi è più l'olografia bensì già l'immagine virtuale. L'immagine visiva sarà allora sostituita da un'immagine percettiva totale, tattile prima ancora che audiovisiva. Per la prima volta, con le nuove tecnologie informatiche e digitali, non vi sarà più bisogno di realtà per riprodurre una percezione di realtà. Ma questa immagine virtuale non assolverà più la funzione di scena tragica. Perché?
19 Il cinema come spettacolo spesso non comunica più perché diretto verso la virtualità assoluta. Mentre la scena tragica dona allo spettatore la forza di ripetere l'esperienza dolorosa del vivere, l'immagine virtuale sostituirà questa esperienza con una pacificante ed irreale. La saturazione parossistica dei colori è uno degli esempi di questa tendenza dello spettacolo cinematografico a sostituire l'esperienza vera con una virtuale. Il rischio è che alla fine non si cerchino più i tramonti emozionanti ma l'emozione cinematografica del tramonto. La virtualità non servirà più a mettere in scena la scena O/scena della natura umana, bensì ad inglobare la natura stessa nello scenario umano. La metropoli dunque ha creato il cinema anche per assolvere ad una nuova funzione, quella di sostituire la natura con una natura virtuale. In questo modo la necessità stessa della scena tragica verrebbe abolita e l'uomo ingloberebbe la natura nel suo scenario umano, limitato e limitante.
20 Quando questo accade vediamo i corpi reali divenire materiale per la riproduzione delle immagini spettacolari della realtà. Così fare cinema diviene ancora più difficile: anziché dare immagine ai corpi finiamo per prestare i corpi ad un'immagine virtuale. Nel frattempo la realtà stessa si sforzerà di apparire come l'immagine impone. L'immagine si è fatta realtà, la realtà si è trasformata in un suo surrogato e non contiene più corpo né verità.
21 Contro questa tendenza non serve arroccarsi in un limbo d'autore collocato fuori dallo spettacolarità. La spettacolarità è invece il nostro campo di battaglia, ovvero dev'essere scelta come macchina comunicativa: anziché sostituire l'esperienza essa dovrà spingere a farla con una nuova consapevolezza.
22 In che senso il cinema può spingere all'esperienza? Cosa gli donerebbe in più? Ejzenstejn diceva che il cinema corrisponde ad un processo vitale rallentato e dispiegato. Tutto quello che siamo abituati a vivere, per abitudine, con automatismo, ci può essere dispiegato nella sua complessità e nella sua dinamica. Fassbinder diceva: "i film liberano la testa". E non credo che intendesse parlare di consolazione. Piuttosto mi viene in mente il ruolo liberatorio che assolve una parola quando assume un 'senso'. E' come se un film avesse la forza di fornire una definizione per un esperire. Eppure anche qui si nasconde un pericolo: la definizione può infatti prendere il posto dell'esperire. Il Cinema che noi vogliamo pur fornendo un vocabolario deve sempre ricordarsi di scardinarlo poeticamente. E' questa la differenza tra il cinema politico, retorico e didascalico, ed il cinema poetico.

Bari, ottobre '91/novembre '92

Angelo Amoroso d'Aragona

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