24 giugno 2008

GLI ATTORI “RECIDIVI” DI UN RESTAURO


“Idillio Infranto” fu restaurato con tecniche tradizionali nel 1996, in occasione del Centenario del Cinema, per iniziativa del Comune di Bari e grazie soprattutto alla sensibilità dell’allora Assessore alla Cultura, il Prof. Domenico D’Oria. Il film non lo si conosceva se non per un telecinema in VHS pericolosamente azzardato dagli eredi, affidatesi per inesperienza ad un Centro di noleggio video locale. Per anni, questo VHS è stata l’unica fonte d’informazioni sul film. Oggi può testimoniare lo stato di conservazione dell’originale prima della sua rigenerazione. Il film era infatti riemerso, qualche anno prima, da una cassapanca in una Villa ai confini del paese di Acquaviva delle Fonti, nella Murgia barese. Uno storico locale, Sante Zirioni, ne aveva recuperato la memoria contro le resistenze del suo stesso artefice, ancora in vita, Orazio Campanella. Dopo la sua scomparsa, nel 1986, il film finisce nelle mani premurose del nipote Franco Milella che rotti gli indugi ne promuove la riscoperta, aiutato da Tommaso Lapegna e dalla TRANSTV, un piccolo centro di produzione indipendente, con cui quest’ultimo collaborava da anni, attrezzato con una Sala Posa in Adelfia, a quindici chilometri da Acquaviva delle Fonti. Il centro era diretto dalla mia persona e alla sua chiusura molti dei suoi protagonisti si costituirono, insieme a me, come Associazione Culturale, portando a termine il lavoro di recupero e promozione di questo film ritrovato.

“Idillio Infranto” risultò presto essere il primo film girato in Puglia. Non si trattava di un documentario o di repertori di un amatore. Girato nel 1931 era un vero tentativo d’impresa cinematografica: “Apulia Cine” il nome della Società. Il fatto che fosse rimasto nascosto sessant’anni in una cassapanca per riemergere proprio a ridosso del centenario del cinema contribuì non poco a farne un oggetto metaforico: “L’Idillio Infranto tra il Cinema e la Puglia” titolò felicemente il primo articolo apparso sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” con la firma di Oscar Iarussi, che ripubblicava tra l’altro anche quello del 1987 di Sante Zirioni sul quotidiano “Puglia”.

Nel frattempo, con il prezioso VHS tra le mani, per un decennio si è cercato invano il sostegno delle istituzioni locali, in primis della Mediateca Regionale. Testimone di questi tentativi fu proprio l’allora Direttore della Mediateca Regionale, Alfonso Marrese. Paradossalmente una delle prime Regioni a dotarsi di una Mediateca e di una Legge Cinema (presto abbandonata) perse questa rara occasione proprio mentre negli stessi anni in tutto il mondo nasceva una nuova sensibilità verso il restauro cinematografico ed il ruolo che possono avere gli Enti preposti alla conservazione. Il ritardo di iniziativa era infatti generale, sia nazionale sia mondiale, e la Puglia perse solo l’occasione di mettersi al passo con i maggiori centri cinematografici. Persino gli americani arrivarono ad una sistematica iniziativa di restauro solo in quegli anni. Mentre noi in Puglia si riscopriva e si proponeva il restauro e la riedizione di “Idillio Infranto”, nel mondo stavano infatti nascendo Istituzioni per la promozione e il sostegno agli archivi cinematografici e al restauro dei film. La più famosa è la Film Foundation creata da Martin Scorsese nel 1990, a cui aderirono come soci fondatori Kubrick, Lucas, Spielberg, Coppola, Pollack e Allen. “Salvare il primo secolo del cinema è il nostro grande compito” scrive Scorsese nel 1993 perché “quando le future generazioni si domanderanno incredule perché loro hanno permesso che così tanto andasse distrutto, quel loro siamo noi”. In Italia, intanto, nel 1995 vengono censiti da Giacomo Martini 52 centri di conservazione del patrimonio filmico. Da notare che in questa mappa a sud di Roma vi sono solo tre Enti e due di questi sono in Puglia, a Bari: la già citata Mediateca della Regione Puglia e il Centro Studi ABC dell’AGIS Puglia e Basilicata, anch’esso da noi coinvolto per il restauro del film nella persona del suo promotore e ideatore il Prof. Mario Nuzzolese. Singolare per altro che da quest’elenco manchi quella che oggi in termini di patrimonio filmico può essere considerata uno dei più importanti archivi europei, la Cineteca di Oppido Lucano. Infatti questa struttura muoverà i suoi primi passi anche lei nel 1995, con il centenario del cinema. Riepilogando: la Puglia riscopre il suo primo film andato perduto ed avrebbe gli strumenti istituzionali per operare, meglio che in altre Regioni d’Italia; la Basilicata vede iniziare un’impresa di conservazione d’eccellenza in Europa. Segnali ambigui che da una parte mettono le nostre Regioni al passo con un movimento di scala mondiale ma che al contempo non trovano politiche di sviluppo adeguate e ci fanno perdere, ancora una volta, il “treno”. Negli stessi anni un Cineclub di Bologna grazie alla sinergia con l’Università e altre infrastrutture regionali farà nascere la Cineteca di Bologna, una struttura che del restauro farà non solo una suo compito primario ma anche un patrimonio commerciale grazie ad un’attenta politica di marketing territoriale. In Italia vi sono anche altre eccellenze e non sempre legate alle grandi istituzioni nazionali, quali potrebbe essere il Museo del Cinema di Torino che aspetterà ancora un decennio per essere rilanciato nei modi oggi conosciuti. Invece, già nel 1984, la Cineteca del Friuli di Gemona aveva iniziato un’azione pionieristica, dedicandosi proprio al cinema muto grazie ad un accordo con un piccolo laboratorio di Roma, lo Studio Cine, lo stesso dove, nel 1995, portai per il restauro il nostro “Idillio Infranto”.

A testimonianza di come si debba attendere il centenario del cinema per parlare di restauro v’è la stessa vicenda della Cineteca Nazionale. Essa deve attendere il 1994 per vedersi assegnare da una Legge nazionale il compito di conservare e restaurare il patrimonio filmico nazionale. La Cineteca Nazionale esiste dal 1931, lo stesso anno in cui in Puglia si realizza “Idillio Infranto”, ma nasce come Archivio di film per il Centro Sperimentale. Solo nel 1949 diventa titolare del deposito obbligatorio dei film nazionali ed è solo allora che viene citata con il nome di Cineteca Nazionale in un articolo di legge (art. 33 L 958 del 29/12/1949). “Idillio Infranto” nel frattempo è già stato riposto nella cassapanca e la sua distribuzione, tentata solo nel 1933, non ha avuto seguito. In quegli anni il Regime Fascista riforma radicalmente il cinema italiano, spostando su Roma la produzione nazionale e facendo nascere Cinecittà e il Centro Sperimentale ma al contempo reprimendo le esperienze regionali come quella napoletana. Il Regime Fascista non censura, favorisce la nascita di un cinema commerciale di intrattenimento, favorisce lo sfruttamento commerciale del cinema americano in Italia e non vede invece di buon occhio l’uso propagandistico del cinema che alcuni giovani cineasti vogliono emulare dall’esperienza “realista” sovietica, primo fra tutti Alessandro Blasetti con il perduto film muto “Sole”, autore di accorate lettere al Duce perché si chiudano le frontiere al cinema americano e si produca un cinema nazionale e popolare. Il Duce non lo ascolterà e l’unica repressione censoria portata a termine dal Regime è contro la più prolifica esperienza produttiva in Italia agli albori degli anni ‘30, quella partenopea appunto, che vive di melodrammi costruiti sul successo delle canzoni napoletane. Esportano i loro film in America dove gli italoamericani sono già un grande mercato. Il Fascismo decreta la fine di questa industria con il pretesto che non è in “lingua nazionale”. Un’esperienza indipendente e regionale (e non a caso, quindi, anche di impianto “realista”) come quella di “Idillio Infranto” non ha più spazio per potersi sviluppare, anche per il passaggio al sonoro che negli stessi anni avviene in Italia. Portare il film, nel 1995, alla Cineteca Nazionale significò consentire che la stessa lo catalogasse come ultimo film muto italiano (Vittorio Martinelli “Il Cinema Muto Italiano – i film degli anni venti. 1924-1931” Biblioteca di B&N Nuova ERI – CSC, gennaio 1996), facendolo quindi uscire da un oblio storiografico durato oltre sessanta anni. Si pensi però che soltanto un anno prima, nel 1994, la Cineteca Nazionale aveva ottenuto finalmente il tanto atteso strumento legislativo per poter intervenire con decisione sul fronte del restauro, la Legge 153 del 1/3/1994. Dopo ben 63 anni dalla sua istituzione, l’articolo 21 di questa Legge conferisce finalmente alla Cineteca Nazionale il compito di procedere “alla raccolta, al restauro e alla conservazione” del patrimonio filmico nazionale. Premessa fondamentale perché questo possa avvenire è quanto sancito dall’articolo successivo al punto 3, ossia l’obbligo di depositare in Cineteca non semplicemente una copia del film (quasi sempre la prima prova di stampa, ossia la peggiore!) bensì il negativo del film stesso. E’ questa la premessa fondamentale per una reale politica di conservazione del patrimonio cinematografico ma si è dovuto aspettare un secolo. Oggi ci sarebbero, in Italia, tutte le condizioni per una politica di sistema policentrico di enormi potenzialità, tuttora inespresse. Il restauro di “Idillio Infranto” vuole essere un contributo in questa direzione, almeno un’occasione per tornare a riflettere sulle possibilità di veder nascere una struttura interregionale anch’essa policentrica e di favorire un coordinamento nazionale del sistema archivistico.

Abbiamo visto come sia stato l’avvicinarsi del centenario del cinema ad accelerare in tutto il mondo le pratiche di conservazione e di restauro. Un processo di storicizzazione che segna la fine dell’età d’oro del cinema. Esiste infatti un’età dell’innocenza in cui non ci si cura di conservare perché non c’è idea della memoria in quanto non c’è idea dell’oblio. I primi avversari della conservazione dei film sono stati gli autori stessi. Il cinema nasce con la ripresa della realtà, come documentario si direbbe oggi, ma si sviluppa quando eredita l’arte della messa in scena e della drammaturgia. Da allora ogni film non vale più di una Replica e se ci si vuole dunque garantire lavoro per il futuro è meglio che un film venga distrutto cosicché lo si possa rifare. Autori e produttori sono da questo punto di vista uniti negli intenti. Ai secondi preme anche recuperare la pellicola al fine di riciclarla, riemulsionandola dopo aver tolto la gelatina. Tutto il patrimonio dei primi due decenni di cinema muto viene negli anni venti svenduto ai Laboratori che ne ricavano sali d’argento e nitrocellulosa. Gli stessi autori, quand’anche produttori dei loro film, come George Méliès, ricorrono senza scrupoli a questa pratica distruggendo le loro stesse opere. Lo stesso accadrà anni dopo con l’avvento del sonoro e poi ancora con il colore. Una sistematica opera di distruzione che si calcola abbia fatto perdere dal 90% al 75% del patrimonio filmico esistente negli anni venti e dal 70% al 40% per gli anni ’30, a seconda delle Nazioni. Ancora oggi, dove esiste una vera industria cinematografica, si tende a rifare film già di successo. Indipendentemente dal remake d’autore, l’industria tende a rifare film di diversa nazionalità o a riproporre copioni commerciali. E’ un segno di vitalità, occorre prenderne atto. La stessa pratica del restauro venne avvantaggiata dall’esito di un’operazione commerciale che trasformò il “repertorio” in un prodotto nuovo, da rieditare senza rispetto alcuno. E’ il caso del “Metropolis” colorato e rimusicato da Giorgio Moroder nel 1984. Colorazione del film e musica pop che trasformano l’espressionismo di Fritz Lang in linguaggio da video clip: il successo di questa operazione rese di colpo evidente che il “vecchio” cinema poteva diventare uno strumento per nuove operazioni commerciali, forse anche a basso costo. Eccoci di fronte ad un altro paradosso: il successo di un’operazione contraria ad ogni filologia del restauro ha aperto uno spazio nuovo per le politiche conservative e favorito l’interesse industriale e degli sponsor per il restauro dei film. Rieditare un film muto diventava un’operazione con esiti distributivi, non necessariamente al Cinema ma magari in Televisione. I palinsesti televisivi si riempirono negli stessi anni di repertori antichi e nacquero imprese che si dedicarono alla riedizione dei film. Ancora una volta è il pubblico a indirizzare al meglio questi investimenti. Per esempio, l’operazione “oscena” di colorare il cinema bianco e nero non ebbe per fortuna un buon esito commerciale mentre una grande richiesta di consumo televisivo si orientò verso il recupero delle opere originali. L’elettronica consentiva infatti un recupero più semplice e solo per grandi autori come Hitchcock si sono avuti cicli di proiezioni di suoi film restaurati su pellicole e reimmessi sul mercato della distribuzione cinematografica in Sala. In quegli anni si capirono già le potenzialità che l’elettronica poteva rappresentare per il restauro di una pellicola ma le tecnologie video erano ancora insufficienti a garantire quello che oggi si può ottenere con il digitale. L’immagine digitale ha costruito, in questi decenni di continui progressi, un ponte tra fotografia ed elettronica, oggi non più separati ma parte di un unico ciclo produttivo in qualsiasi lavorazione cinematografica. Così dalla prima stagione di restauri, iniziati negli anni ’80 e proseguiti per due decenni, si è giunti oggi ad una stagione del tutto nuova che si avvalla del digitale per operazioni un tempo ad altissimo costo, consentendo a tutti il ritorno dell’opera su pellicola. Senza dimenticare la qualità raggiunta dalla stessa immagine elettronica e la possibilità di distribuirla in Circuiti di Sale, evitando il costo di distribuzione della stampa e del trasporto della pellicola. Due potenzialità con una sola lavorazione. E’ quanto oggi accade con “Idillio Infranto” che dopo la rigenerazione del 1996 viene in questi mesi restaurato con tecnologie digitali presso il Laboratorio Technovision di Roma, a cura della Cineteca Nazionale. Operazione promossa dalla Teca del Mediterraneo della Regione Puglia con la sponsorizzazione del Club delle Imprese per la Cultura della Confindustria di Bari.

“Idillio Infranto” fu girato e stampato su pellicola al nitrato, facile ad esplodere anche per autocombustione. Il primo miracolo di cui meravigliarsi è che questa pellicola sia riemersa come sospesa nel tempo, ancora giovane. Le pellicole al nitrato, anche se conservate nei cellari refrigerati, hanno il destino segnato: prima l’immagine sbiadisce, poi l’emulsione diventa appiccicosa, la pellicola diventa molle ed esala odori acri, infine si trasforma in una massa compatta e diventa polvere. Appena la pellicola diventa molle il nitrato va distrutto perché diventa pericoloso. Basterebbero infatti i 40° di temperatura di una giornata estiva per farla esplodere e con una violenza tale da farle sviluppare anche 1700°. Nella cassapanca della Villa Campanella la pellicola si è invece conservata al meglio ma era quindi una bomba ad orologeria ancora non innestata. Oggi la pellicola è conservata finalmente presso la Cineteca Nazionale ma la cosa più urgente da farsi era dunque ottenere una copia del film, su pellicola di nuova generazione. Per farlo, nel 1995, si rigenerò con appositi bagni il positivo per ottenerne un controtipo negativo, questa volta in triacetato di cellulosa. Con questa operazione il film venne anche ripulito delle sporcizie che si erano accumulate sul nitrato e quindi fu possibile dal controtipo negativo stampare una nuovo lavander. È questa la copia che sino ad oggi è stato possibile proiettare nelle diverse manifestazioni in cui “Idillio Infranto” è stato presentato: una copia fedele del manufatto originale rigenerato. Solo che questo non è sufficiente per ridare vita ad un film, in quanto il film non è il manufatto ma la proiezione di un’immagine in movimento di cui il manufatto è solo la fondamentale premessa. La forma originaria di un film non è dunque custodita solo nel suo supporto ma anche nelle tecniche di fruizione dello stesso, quella percepita in Sala durante la proiezione. I proiettori di oggi non hanno né mascherini né ottiche che consentano di proiettare il fotogramma nelle sue proporzioni e integralmente. Il fotogramma di un film muto è esattamente al centro della pellicola, mentre oggi è spostato su un lato per consentire l’inserimento di una colonna ottica per il sonoro. Nessun gruppo ottico di un moderno proiettore cinematografico si trova quindi in asse con il fotogramma. Altro inconveniente è la velocità di proiezione. Solo con l’introduzione del sonoro si giunse allo standard dei 24 fotogrammi al secondo mentre per il cinema muto la pellicola veniva “girata” a mano e si può stimare una velocità approssimativa intorno ai 18 fotogrammi al secondo, con uno scarto dai 16 ai 20. Vi sono per il muto proiettori cinematografici a velocità variabile ma sono rari e costosi da noleggiare, indispensabili per le Cineteche e le loro manifestazioni ma non diffusi sul territorio. Ridare vita, quindi, ad un film muto deve voler dire renderlo nuovamente fruibile, senza quell’accelerazione dei movimenti a cui tristemente veniva associato, soprattutto in passato, per l’insana abitudine introdotta dalla televisione pubblica italiana di trasmettere il repertorio di Chaplin, Keaton e quant’altro alla velocità dell’immagine elettronica di 25 fotogrammi al secondo. Siamo a quel noto “effetto Ridolini” delle comiche del cinema muto che prendono il nome proprio dall’appellativo italiano di uno dei suoi protagonisti: Larry Semon. La comica accelerata è un’invenzione televisiva che ha a sua volta abituato il pubblico ad una fruizione distorta del cinema muto stesso. “Idillio Infranto” ha dovuto soffrire lo stesso disagio. Solo il restauro digitale ci consentirà di superarlo, ed è quanto sta avvenendo in questi mesi di lavorazione.

Il primo esame di una pellicola è tattile. A questo esame “Idillio Infranto” non risultava né cristallizzato né particolarmente aggredito dai fattori che solitamente il tempo comporta per il nitrato. Insieme al film io portai allo Studio Cine altri fondi cinematografici emersi sul territorio barese. Si trattava di 16mm colore degli anni ’40 e risultavano gravemente danneggiati, sbriciolandosi tra le dita. Il colore è quasi sempre fonte di gravi condizione di resistenza al tempo ed è da questa scoperta che nasce la passione di Martin Scorsese, il quale realizzò “Toro Scatenato” in Bianco Nero per protestare con la Kodak e per lanciare l’allarme. Quei fondi della famiglia Gargano di Adelfia, come i fondi Di Ciaula del Comune di Fasano attendono ancora il nostro intervento, ed essendo a colori sono, anche se più recenti, più gravosi e difficili. Lo stesso si può dire per l’archivio di centinaia di pellicole del Centro di Cultura Cinematografica Cinematografica - Cinema ABC che, insieme a Domenico De Orsi dell’Associazione TRANSTV, ho avuto modo di esaminare e in parte catalogare e ripulire nel 2006. Tutte pellicole tra gli anni ’60 e ’70 con i colori irrimediabilmente danneggiati mentre, anche in questo caso, a salvarsi sono i repertori dei cinegiornali perché in bianco nero. Abbandonato il nitrato, negli anni ’60 si produsse infatti una pellicola non più soggetta a restringimento e priva di nitrocellulosa, il Safety in acetato. Nel 1980 Martin Scorsese lancia l’allarme contro questa pellicola ma nel frattempo la Federazione Internazionale delle Cineteche (FIAF) negli anni 70 aveva promosso la trasposizione da nitrato ad acetato del patrimonio filmico. Una rincorsa dunque senza fine. Nasce finalmente il triacetato, ancora utilizzato per i negativi ma oggi affiancato dal poliestere per le pellicole positive destinate alla proiezione, vista la resistenza di questo all’usura e alla trazione. La pellicola di proiezione di “Idillio Infranto” è invece un nitrato della gloriosa Ferrania mentre il negativo di partenza è Zeiss Ikon. Una scelta oculata per quel tempo, in termini produttivi, perché si tratta di una pellicola particolarmente economica e molto versatile. La Apulia Cine di Acquaviva delle Fonti la ordina dalla Germania, da Berlino, probabilmente insieme a qualche repertorio filmico visto che il nitrato ritrovato nella cassapanca era custodito dentro scatole con l’etichetta UFA, il noto Stabilimento dove si producevano i capolavori dell’espressionismo tedesco. Segno di una probabile volontà di abbinare all’attività produttiva anche una di distribuzione o di cineclub. Tra gli scarti del film si sono infatti ritrovati anche alcuni metraggi di nitrato virato con comiche di varia produzione nazionale. L’analisi manuale e su tavolo passa film dei repertori consente dunque di accedere ad una somma d’informazioni capace, se integrati da analisi critica e storica, di raccontarci l’impresa stessa, valutandone il grado di improvvisazione, gli apporti professionali e gli intenti imprenditoriali o amatoriali. Questa analisi è tutt’ora in corso per “Idillio Infranto”.

Nella produzione del muto i film vengono montati nei reparti positivo e non come oggi in negativo. L’originale di partenza di “Idillio Infranto” si presenta in questa forma: come una somma di tagli di positivi, con i cartelli invece inseriti direttamente da negativo per risparmiare la stampa. E’ la prassi del cinema muto. Non presenta invece alcuna forma di colorazione e viraggio. Accorgimento tipico del muto e funzionale anche a migliorare il fissaggio. Quest’ultimo è stato eseguito comunque in modo magistrale da Raoul Perugini, l’operatore del film di cui in questi giorni stiamo finalmente riuscendo a trovare nuove e più solide informazioni. Fissaggio perfetto dunque ma oltre al rischio di rapido degrado della pellicola il nitrato presenta un altro grave problema: il restringimento della pellicola. La distanza tra le perforazioni si accorcia e la pellicola non è possibile passarla in macchina, né per proiettarla né per un telecinema. Per digitalizzarla occorre ricorrere al solo scanner, di costi sicuramente più elevati. Per fortuna “Idillio Infranto” non presenta nemmeno gravi forme di restringimento, nemmeno dopo altri dodici anni dalla sua rigenerazione del 1996. Questo particolare ha reso possibile, con le dovute precauzioni, il passaggio in macchina, per la digitalizzazione, dell’originale su nitrato e non della copia in triacetato del 1996. Insieme a questo sono passati al telecinema tradizionale (ossia la copia da un cineproiettore ad un videoregistratore passando da una telecamera), senza rigenerazione, anche tutti gli scarti di lavorazione trovati insieme al film, con scene doppie, scene tagliate ma soprattutto con nuovi repertori che gettano nuova luce sulla Apulia Cine fondata da Orazio Campanella e che meglio ci consentiranno anche di valutare quali scelte fare nella riedizione dello stesso film. Tutto il fondo cinematografico della Apulia Cine è stato digitalizzato. La visione di questo materiale aggiunge profondità all’analisi puntuale iniziata già sul tavolo passa film.

Molte le lavorazioni possibili in digitale. Occorre anche averne una misura perché speso vanno molto oltre le possibilità di controllo che con le tecniche del 1930 si potevano avere sul processo di stampa. Il grosso del lavoro un tempo avveniva in fase di ripresa mentre oggi è in postproduzione che il controllo si è fatto più raffinato. Restaurare un film con il digitale vuol dire finalmente chiedersi quali intenzioni si ponesse l’autore dell’opera di raggiungere, nella consapevolezza di compiere sempre un’operazione arbitraria ma sapendo che se il manufatto è salvo il processo è sempre reversibile. Non è cosa da poco! Per il resto si tratta invece di operare con minori costi quello che già si faceva prima con il ritocco su pellicola ossia le correzione di graffi, macchie, spuntinature, abrasioni e, nel caso di “Idillio Infranto”, soprattutto di righe. Il grande vantaggio del digitale in queste lavorazioni di ringiovanimento è che nelle parti in cui la pellicola s’era iniziata a gonfiare e deformarsi, l’elaborazione digitale dell’immagine consente, per esempio, di allineare non i fotogrammi bensì il loro contenuto, ridando fluidità naturale alla scena. Gli interventi possibili sono tanti e sono scelte da operare in funzione anche del budget disponibile ma nel caso di “Idillio Infranto” si parte da un nitrato che non ha conosciuto un gran numero di proiezioni, come sempre accade, al contrario, quando si restaura un capolavoro del cinema. L’importante è capire la resa fotografica di una trasposizione pur sempre elettronica. Il processo potrà dirsi concluso solo con il check-print, che ne testimonierà l’esito qualitativo. In pratica il film tornerà nuovamente sulla pellicola 35mm. ma come se fosse stato prodotto con gli standard di proiezione di oggi. La scansione dei fotogrammi sarà infatti a 24 fotogrammi al secondo. Vi sono due metodi per giungere grazie al digitale a questo risultato. La prima è di far disegnare al computer i fotogrammi mancanti. Non sempre è la tecnica migliore. Può produrre risultati spiacevoli aumentando lo sfarfallio nei movimenti della macchina da presa e rendendo più fastidioso il naturale pompaggio della luminosità di un film muto. Per “Idillio Infranto” si è scelto invece di utilizzare lo scratching che non “disegna” fotogrammi intermedi bensì duplica quelli esistenti, come già avviene da tempo nelle tecniche di animazione per economizzare il numero di fotogrammi da disegnare. In pratica, non abbiamo inventato nessun fotogramma ma usato quelli del film per dilatarne il tempo di scorrimento.

C’è qualcosa che però manca ad “Idillio Infranto” e di cui non si è mai trovato traccia: la musica. Il cinema muto tutto era tranne che sordo. Esso era muto solo per la mancanza del parlato ma non per l’assenza di commento sonoro che veniva eseguito dal vivo. Quando la tecnologia consentì di registrare i suoni alcuni grandi registi del muto si rifiutarono comunque di associare il parlato ai loro film e continuarono ad utilizzare il sonoro come commento musicale. L’esempio più famoso è quello di Chaplin. Molti capolavori del cinema muto sono stati in questi anni riediti con le musiche originali un tempo eseguite dal vivo. Il digitale consente infatti di spostare il fotogramma senza tagliarlo, collocandolo nella sua posizione attuale e dando spazio alla colonna ottica. Nel caso però di “Idillio Infranto” non ci troviamo di fronte ad una colonna sonora composta per il film né tantomeno ad una registrazione d’epoca di queste musiche. Non è detto che non ci abbiano pensato e che non ci abbiano anche provato ma non abbiamo nessun elemento per poterlo valutare con certezza. In ogni caso l’idea di accompagnare il film con una musica originale venne, sin dai primi tentativi di promuoverne il restauro, allo stesso Tommaso Lapegna e da sempre la TRANSTV aveva pensato a Nicola Girasole per la sua composizione, vista la sua esperienza sia nella musica da camera sia nella musica per il teatro. Quando però nel 1995 si procedette realmente al restauro la domanda che mi posi fu in che modo a Bari e nella sua provincia il cinema venisse accompagnato. In un ritaglio di giornale non ancora identificato si annuncia l’accompagnamento del film con musiche originali ma nessuna partitura è mai comparsa sin ora. Non restava che indagare sulla storiografia locale e di fondamentale importanza fu un articolo di Vito Maurogiovanni sull’orchestra Esposito che a Bari accompagnava il cinema muto utilizzando per lo più i repertori. Altrettanto significative furono le chiacchierate (le definisco così per il piacere che si provava ad interloquire) con Vittorio Martinelli, storico insostituibile del cinema muto italiano purtroppo scomparso recentemente. E’ stato lui a indicarmi la strada del “cantante appresso” che soprattutto nella seconda e terza stesura delle musiche riscritte da Nico Girasole hanno avuto un peso determinante nella scelta di assecondare il desiderio del compositore di introdurre la voce umana e il canto. Vittorio Martinelli dopo anni tornò su questo argomento in un articolo sul quotidiano La Repubblica (in cui citava per altro “Idillio Infranto” come esempio) in cui si ricordava come partendo per il Nord America le pellicole del cinema muto napoletano viaggiassero con il “cantante appresso” essendo la loro colonna sonora essenzialmente fondata non sul pianoforte o sull’orchestra bensì sul bel canto del melodramma napoletano. “Idillio Infranto” è sicuramente debitore di questa tradizione ma al contempo se ne discosta con una grande modernità d’intenti. Il melodramma si piega dunque al realismo e ad una simbolica parabola morale. Le musiche dovevano essere capaci di cogliere anche questo tratto di crudo e disilluso realismo. Quindi orchestra di una decina di strumenti al posto del pianoforte o dell’orchestra sinfonica, uso della canzone come nella tradizione napoletana, scrittura musicale moderna, non incline al melò in sé ma giocata sul piano della citazione. Tutte scelte che comunque segnano il passaggio dal semplice restauro del film alla sua riedizione.

Rieditare “Idillio Infranto” per me e per l’Associazione TRANSTV vuole dunque essere un punto di partenza per iniziare anche in Puglia, magari concertando un’azione congiunta con la Regione Basilicata e il patrimonio della Cineteca Lucana, una politica che sappia trasformare il patrimonio audiovisivo in memoria e in motore di sviluppo. L’Associazione TRANSTV dal canto suo lo sta continuando a fare promuovendo e partecipando ad una rete indipendente di Associazioni, Mediateche, Archivi, singoli cineasti e video maker denominata appunto RECIDIVI: Rete dei Repertori Cinematografici, Digitali e Video di Puglia e Basilicata.

RELAZIONE PER IL CONVEGNO DEL 24 GIUGNO 2008 A BARI PRESSO LA TECA DEL MEDITERRANEO, PUBBLICATO NEL VOLUME "I WORKSHOP DI TECA - 8 FOCUS PER LE BIBLIOTECHE" EDIZIONI AIB (Associazione Italiana Biblioteche) 2010

NELLA FOTO IL MAESTRO NICO GIRASOLE PROVA L'ORCHESTRAZIONE DAL VIVO PER IL CARPINO FOLK FESTIVAL

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