02 dicembre 2010

"Io non credo che morirò. Certo è una possibilità, ma..."



"Io non credo che morirò. Certo è una possibilità, ma potrebbe non accadere." Così si chiude il testamento di Mario Monicelli. Una frase grandiosa che non riesco nemmeno a commentare, per timore di immiserirla. Nel video che ho scelto, Mario Monicelli ci dice invece, più semplicemente, che la speranza è una trappola, una "invenzione dei padroni" e che quindi il cinema non deve dare speranza ma toglierla. Nel dirlo tra l'altro cita anche l'aldilà e l'invito alla preghiera come esito negativo della speranza in esso.

Ogni maestro rischia di non essere compreso ma resta un dovere tentare di interpretarlo e correre così il rischio di tradirlo. Solo che Monicelli non voleva nemmeno essere chiamato "maestro" e forse non voleva che nessuno parlasse per lui ed ora che è morto forse vorrebbe che la sua voce fosse spenta. O forse tutto questo gli era indifferente, essendosi egli annullato nella morte. Eppure dice Monicelli nello stesso testamento, anzi lo grida: "Voglio morire sulla scena". E ci è riuscito.

Con il suicidio infatti lui ha avuto la sua scena finale. Ha contrapposto la dignità alla vile speranza. Io resto ammutolito dalla radicalità del suo gesto che coincidenza ha voluto arrivasse mentre un pezzo d'Italia chiedeva la parola "per la vita". Non ci sono partiti pro vita o pro morte, per me. Ci sono solo scelte e la sospensione del giudizio nel rispettarle. A me fa male pensare quello che può aver passato Mario Monicelli negli ultimi minuti che lo hanno separato dalla decisione di gettarsi dal quinto piano. Mi fa ancor più male pensare a cosa può aver provato fisicamente durante e dopo la caduta. Avrei di certo preferito una gentile siringa assassina. Ma forse lui, che non amava chiedere, preferiva invece così, la scelta dolorosa di un'ultima "rivoluzione" per girare il mondo dall'altra parte, quella dove tutto si annulla. E come dice nel video non vi è rivoluzione senza sofferenza e dolore. Lunedì notte Paolo Villaggio diceva che Monicelli non aveva fede e che, avvicinandosi alla morte, non poteva non aver raggiunto l'assoluta certezza che non lo attendesse nulla oltre, nient'altro che il nulla. Poi c'è quella frase detta da lui dopo il suicidio del padre, a 30 anni: "Lo capisco e lo accetto. Meglio levarsi la vita se sai che non puoi più viverla con pienezza e dignità" e lui ha fatto la stessa cosa, 61 anni dopo.

Queste le considerazioni che ho fatto di getto lunedì notte e le polemiche di ieri vogliono dire che ci avevo visto giusto. E dirò di più: io non "partecipo" per la dolce morte, né mi piace il suicidio, dico solo che Monicelli non credo volesse il silenzio e il rispetto, cose che si riservano a chi si suicida per debolezza. Anche se mi hanno procurato un intimo fastidio, ho condiviso gli interventi in Aula di Montecitorio che hanno sottolineato il significato politico di questo gesto per l'eutanasia. Alzare la voce nel giorno del lutto è stato un gesto di rispetto per la sua morte e non il contrario, utilizzarla per risollevare il problema, perché questo avrebbe preferito lui: morire sulla scena, appunto. Mi resta invece il dubbio se Monicelli avesse davvero preferito una siringa. Troppa pietà e troppa commiserazione per i suoi gusti. Non credete? Anche con l'eutanasia legalizzata lui secondo me si sarebbe suicidato per farla finita in un colpo e via.

Io non sono né pro vita né pro morte, sono solo per la libertà di scelta che è pari alla libertà di culto. Chi crede che la vita non gli appartiene non potrà accettare il suicidio, chi si lo userà per affermare la sua libertà. In un paese bigotto come l'Italia la morte di Monicelli farà storia. I veri credenti dovrebbero dirgli grazie perché la fede non la si impone per legge e senza libertà è priva di significato e valore.

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