14 agosto 2013

Senza (t)Errore

Un libro facile da leggere. D'un fiato. Ottimo per non pensare nulla di nuovo sotto l'ombrellone e lasciare passare le ore più calde rinfrescandoci la mente con quanto già sapevamo. O credevamo di sapere. Per l'appunto.
Che le Brigate Rosse erano composte da persone in buona fede, figlie di intere stagioni di lotta "anticapitalista", pienamente inserite in un vasto movimento sociale.
Che le Brigate Rosse avevano una visione rozza dello scontro "di classe" con un nemico leviatano del tutto privo di contraddizioni interne.
Che le Brigate Rosse erano convinte di suscitare una sollevazione di massa e una frattura definitiva tra base e direzione del PCI. Uccidendo Moro pensavano di cambiare la storia senza capire che la cambiavano in peggio, mettendo fine al movimento stesso.
Che Aldo Moro fosse l'uomo sbagliato da colpire, l'uomo onesto della DC, isolato nella DC e privo di reali amicizie, espressione di una DC popolare e di massa (di cui le BR ignoravano l'esistenza).
Che Aldo Moro fosse un buon padre e marito di famiglia, un sincero cattolico.
Che Aldo Moro fu sacrificato alla ragion di Stato e le BR non furono capaci di usare politicamente il sequestro  a causa della loro rozzezza, con la sola eccezione di alcuni tra loro che trattarono con i socialisti per mezzo della Autonomia Operaia.
Che la stampa italiana non è indipendente dalla politica e si prestò a fare da grancassa per le versioni governative sul crollo psicologico di Moro, senza gran distinzione tra stampa di destra e di sinistra visto il governo di solidarietà nazionale tra DC e PCI.

Sfido ora a trovare qualcosa tra queste tesi che non suoni come luogo comune. Da cosa nasca quindi la necessità di aggiungere mistero a misteri non si capisce. Ammesso che la vicenda Moro abbia dei misteri il gusto in Italia per l'ambiguità delle verità insondabili è una delle malattie della nostra democrazia. In Italia vi sono segreti non misteri. E vi sono colpevoli impuniti, punto. Non trame imperscrutabili. Se vi era un vero Diario di Prospero Gallinari nessuno giustificherebbe il tenerlo segreto, tanto più se non contiene nulla di non già detto e nulla di sconvolgente o sconveniente per alcuno. Ancor peggio il "volergli dare veste letteraria" come dichiara l'anonimo autore. Se qualcosa di letterariamente interessante poteva esserci questa era nei "svarioni grammaticali ed errori di ortografia" (tutto qui? Ma la "veste" allora sarebbe intatta, quelli semmai sono refusi, inezie rispetto alla veste). Senza contare che Prospero Gallinari aveva già dato alle stampe una sua autobiografia con sole 15 pagine dedicate al sequestro Moro e quindi sapeva dar di conto di un lavoro editoriale.
Uscire con un misterioso "apocrifo" a pochi mesi dalla sua morte non mi sembra un'operazione di cui farsi buon vanto, tanto più se si pensa al rumore che hanno fatto i suoi funerali per la partecipazione di tanti e non solo di ex brigatisti. Non sono in grado di giudicare l'adesione tra il personaggio Gallinari del falso apocrifo e la persona Gallinari per come si è egli stesso raccontato in questi anni. Quel poco che ho visto su You Tube non convince del tutto ma è anche evidente che chi ha scritto il diario apocrifo ha lavorato sul personaggio partendo dalla persona, in specie dalla figura del "non pentito" che si è sempre chiuso dietro una giustificazione tutta politica (e di una politica ridotta alla guerra) delle sue azioni. Il titolo invece sembra ribaltare quello che anni fa venne detto di lui, ossia che pianse alla morte di Moro, una trovata editoriale che sicuramente ha aiutato il libro nelle vendite ma che nulla aggiunge al già detto. Veniamo dunque a quello che invece il Diario apocrifo non dice.
Ci parla di origini contadine ma nulla ci dice delle radici delle BR, tanto più che Gallinari è di Reggio   Emilia, come l'editore e presumibilmente anche l'autore del libro. Chi conosce queste storie sa quanto queste radici portino più al PCI che non alla sinistra extraparlamentare, all'idea di una Resistenza tradita e alla sottile linea rossa di pratiche di preparazione ad una eventuale insurrezione armata. Di questo si trova traccia nelle stesse dichiarazioni di Gallinari, non nel diario.
Non ci dice perché avessero scelto Moro e non per esempio Andreotti. Ci nega la tesi, cara alla sinistra istituzionale del tempo, che volessero fermare il compromesso storico ma lo fa con argomenti non convincenti. Nessun tentativo di rapportarsi all'immagine di Moro che al momento del sequestro era dominante nell'immaginario di massa, in specie se guardiamo al vastissimo movimento e alla produzione culturale nel nostro paese quasi tutta in stretto legame con questo movimento (uno per tutti il Moro di Todo Modo di Gian Maria Volontè). Moro è stato "santificato" dopo e forse anche grazie a quella prigionia, alle sue lettere, alla pietas di cui le stesse BR sono state causa e testimoni ma il diario era scritto da una persona in debito con l'altro immaginario di Moro, l'autore doveva tradurlo in odio e disprezzo e non osa farlo, sembra già agito da qualcosa che gli è contemporaneo (il Moro imprigionato) ma proprio per questo futuro alla coscienza. E dove sono le prove schiaccianti delle sue colpe? Dove le prove per una condanna a morte? Non ci sono e basta. Si parte dall'assunto che non ci è dato conoscerli ma non si osa dire cosa era uscito da quegli interrogatori. Semmai i brigatisti prendono lezioni da lui, bravo professore universitario anche se difficile da capire. Nemmeno il disprezzo per quella difficoltà di linguaggio che ad un rivoluzionario poteva solo risultare omissione e complicità, linguaggio "del" potere e quindi prova o indizio di più grave colpevolezza. Il Moro del diario apocrifo è già il Caso Moro che lo stesso Gian Maria Volontè interpreterà anni dopo, di nuovo incarnando magistralmente la nuova immagine del politico democristiano, quella ormai consegnata alla Storia. E che il diario apocrifo conferma, sin dal titolo.
Riesumare il Conte di Montecristo per così poco è davvero grave. Non vi è traccia alcuna di Vendette qui, nemmeno della memoria. Solo il cattivo vizio italiano di intessere misteri anziché reclamare la fine dei segreti. Così è questo libro: senza errori, senza il coraggio di dire la cosa sbagliata al momento giusto. Inutile. Ci resta il "terrore", quello già dato e consegnato alla memoria ma di cui ancora oggi non siamo in grado di parlare se non a vuoto.