29 novembre 2010

SU LA TESTA!



Sei un meridionale? Un italiano del Sud? Firma l'appello e non fermarti a questo. Su la testa! Qui trovi il testo. Qui la pagina per firmare.

Questo il mio commento insieme alla firma:
Finalmente, su la testa! Ben vengano gli imprenditori quando si fanno classe dirigente e quindi si assumono l’onere di portare sviluppo e far crescere un sistema di cui si devono alimentare. Nel Meridione non accade da troppo tempo. La prima rivoluzione da fare nel Meridione è quella liberale perché contagi tutta l’Italia. Facciamo nostro il vero federalismo quello non italiano ma europeo, quello dell’Europa delle regioni. La nostra deve far rimettere i piedi nel Mediterraneo perché l’Europa nacque da un non luogo, dall’acqua, da uno spazio di incontro dove mescolare i confini, tale fu il suo “rapimento”, queste le radici da cui è nata la democrazia. Oggi l’Europa deve tornare ad essere laboratorio di democrazia partecipata e di una nuova cittadinanza. Questa la sfida che i socialisti e democratici di Europa mi auguro portino dentro la dialettica di un rinato meridionalismo nel Sud Italia. Nostre sono le radici dell’Europa e della democrazia. Le abbiamo offese per troppo tempo. Estirpiamo le parti malate e ridiamo speranza anche alle chiome del Nord che senza la nostra linfa rischiano di inaridirsi al sole.

27 novembre 2010

QUELLA NOTTE DOV'ERI?

(nella foto il corteo, un anno dopo)

Bari, 28 novembre 1977:
quella notte ero a casa di Cecilia in Viale Salandra e, giunta la notizia, non si riusciva a crederci. Telefonata dopo telefonata, di voce in voce. Sino alla conferma, certa. Benny era morto, ucciso, accoltellato, dai fascisti. Poggiai la cornetta e schizzai in bagno. Una scarica violenta di diarrea. Mi sembra ancora di ricordare il corridoio e il bagno, del resto non sono certo. Mi chiesi solo se era paura ma la mia mente non dava risposte, si era svuotata di tutto. Mi chiesi se era quel vuoto a chiamarsi coraggio.
"Ecco la morte è giunta sino a noi, non siamo più spettatori" pensai. "Ma quanto dovrà costarci? Deve essere così doloroso? Non credo di averlo messo in conto questo dolore...".
Dopo un attimo si era usciti tutti, concitati, e diretti verso Piazza Prefettura. Era come andare ad un appuntamento tanto atteso e desiderato ma che si avrebbe preferito rimandare... Il resto è storia. Una storia più piccola di quella desiderata, specie ora che Benny gli aveva sacrificato la sua vita. Valeva molto di più! ...Io con Cecilia scrivevo sui muri, commosso: "Benny ti amo!" falce e martello.

17 novembre 2010

A MILANO COME IN PUGLIA VINCE IL PD...

... quello DELLE PRIMARIE, s'intende!
NON VINCE infatti Nichi Vendola che senza il popolo delle Primarie del PD non esisterebbe.
PERDE DI SICURO la direzione del PD e non solo quella milanese.

Oggi (ndr: ieri) Michele Serra descrive in modo efficace questo paradosso. In una situazione normale non solo il PD ma l'intero centro sinistra avrebbe fatto fatica a trovare un candidato. Ne è stato un esempio l'ultima tornata elettorale per il Sindaco di Roma. Invece grazie alle Primarie avviene il miracolo e per Milano si presentano 3 auto candidature, tutte dalla società civile. A questo punto la Direzione del PD che fa? Ci dice Serra che anziché sentirsi per un giorno Gastone preferisce tornare ad essere Paperino e fa l'unica cosa sbagliata che si potesse immaginare di fare. Ossia, anziché gridare al successo della propria iniziativa e congedare i candidati con un bel "vinca il migliore!", si mette in cagnesco contro tutti e tre, ne esce un quarto tutto targato "apparato" e blinda le Primarie stesse non concedendo agli altri tre le liste degli elettori e altre amenità. Insomma blinda il candidato come se volesse deciderlo a prescindere e cerca di imporlo ai propri militanti con vecchie logiche di disciplina
(vi ricordate Boccia in Puglia? fu la stessa cosa!). Come se non bastasse si mette pure in cagnesco e e fa capire a tutti che o vince quello, il suo, oppure ha vinto Vendola. Fantastico! Ma che le fai a fare le Primarie se poi devi dire che hai perso se non vince il candidato "del Partito" (definizione di per se inaccettabile e contraddittoria con le Primarie stesse). Quack Quack! Una mossa da Paperino! Che si merita tutta la sfortuna e suscita persino simpatia per quanto è cocciutamente idiota. Questo è il PD! Ma non è questo il "popolo" del PD!

Avviene però sempre e dappertutto. E' avvenuto lo scorso inverno in Puglia dove gli elettori del PD - e non quella piccola parte che vota SEL - hanno scelto Vendola. Avviene a Bologna dove l'unico candidato favorito ai sondaggi e che proviene anch'egli dalla società civile, Andrea Segrè, lascia la corsa per il clima di sospetti e sgambetti degli apparati di un Partito che anche lui non esita a definire "conservatore" (ndr: di se stesso!). Ed ecco che anche a Bologna salirà Vendola a prendersi una vittoria che vale quanto è valsa in Puglia, dire no a chi vuole rottamare non il vecchio ma l'unica cosa buona e nuova che c'è: le Primarie.

Eppure un dato significativo queste "vittorie" contro l'apparato conservatore del PD ce lo presentano e chiaro: il calo di
partecipazione. Colpa delle Primarie? Al contrario, colpa di chi le demolisce cercando di truccarle o di trasformarle in pre elezioni di Partito, contrapponendo il candidato di PD a quello di SEL anche quando questo non c'è ma facendo di tutto perché lo diventi.

Al contempo colpa anche della soluzione "identitaria" date ad essa dalla discesa in campo di Vendola. Infatti nessuna di queste campagne vendoliane riesce a trasformarsi in una espansione di entusiasmi e in una mobiltazione che vada oltre la cerchia più ristretta del "popolo identitario di sinistra". Un "popolo" più largo della somma degli iscritti di PD e SEL ma non più di tanto. Un "popolo" abituato a correre agli appelli anche quando è stanco e a rispondere sempre e comunque come un riflesso condizionato ad ogni stimolo che sia identitario. E' il "popolo" che ha eletto Bersani Segretario anche se giurava di odiare D'Alema ed è lo stesso "popolo" che poi smentisce con soddisfazione Bersani quando cerca di dargli una "Linea che non
c'è" pur di dirgli che loro sono ancora più "di sinistra". E' il "popolo di Vendola", ne è lui il Leader naturale, ma lo stesso Nichi
aspirava a molto di più un tempo o meglio questo ha voluto farci credere per poi dimostrare che così non è. Infatti questo "popolo" gli consentirà di ritagliarsi uno spazio politico a sinistra del PD. Uno spazio che alcuni nel PD si augurano di veder crescere e di poterglielo presto lasciare, così da levar loro ogni imbarazzo di moderazione opportunistica e interessata. E' il Partito degli Amministratori che da sempre lavora dentro il PD e contro il progetto di un PD maggioritario. Non vedono l'ora di poter fare un pentapartito Fini UDC Rutelli PD e SEL. E a questo gioco ci stanno tutti! Nessuno escluso. Lo hanno dimostrato anche i Forum appena conclusosi a Bari con D'Alema e Vendola già vestiti del loro ruolo.

Tiro allora le mie conclusioni e provo anche a rilanciare la posta:

1) la vittoria di Pisapia a Milano è la vittoria delle Primarie e quindi del PD come nuovo Partito per la democrazia partecipata (che è una cosa seria di cui si discute in tutto il mondo... tranne che nel
PD!);

2) Pisapia è un "moderato", già candidatosi con la sinistra radicale ma come indipendente. E' la miopia del PD di oggi e delle sue componenti storiche di ieri a regalarne il successo a Vendola. Se le Primarie si fossero svolte in altro clima la sua sarebbe stata una vittoria del PD e di sicuro avrebbe trascinato al voto un elettorato diverso da quello "identitario" che ha richiamato Vendola e che nei numeri non è incoraggiante (77.000 in tutta Milano... sic!);

3) bene ha fatto la Direzione milanese del PD a dimettersi. Non come quella pugliese dopo la sconfitta tragica di Boccia! Se Sergio Blasi si fosse dimesso avrebbe consentito un rinnovamento del Partito in Puglia mentre così rimane schiavo lui stesso da una parte dei veti incrociati delle minoranze e dall'altra dei condizionamenti di una maggioranza a sua volta minoritaria nella società civile sul piano del voto d'opinione (che in politica ha il suo peso se non si vuole dipendere dai capibastone dei pacchetti di voti che poi finiscono per ricattarti e condizionarti su tutto). Ovviamente oggi non si prospettano affatto dimissioni e nessuno le invocherebbe più ma resta da augurarsi che il Segretario Regionale in Puglia vada avanti nella strada intrapresa con i Forum facendone solo l'inizio di un processo senza rete di sicurezza e non la messa in scena di un copione triste quale quello a cui abbiamo assistito nel suo epilogo politico con D'Alema;

4) la sconfitta a Milano è una sconfitta di tutta la Direzione del PD. Di fronte alla chiara espressione di Nichi Vendola che la sinistra prima di parlare di alleanze deve definire una propria identità le sconfitte ieri in Puglia e oggi a Milano mettono in discussione non tanto Bersani quanto la sua Segreteria politica e la linea scelta - dopo il Congresso! - di lavorare PRIMA alle alleanze e DOPO al programma. Questa linea l'elettorato del PD la sta contestando ma il PD continua a proporla oggi per bocca di Rosy Bindi, per esempio, che ipotizza una coalizione anche con Fini per le prossime elezioni "e il nostro elettorato lo capirà...". Ne sei proprio sicura Rosy?

5) questo "popolo di sinistra" sopra descritto resta immaturo e incapace di essere egemone, legato com'è alla nostalgia di una
identità perduta, incapace com'è di uscire dalla tragedia del secolo breve di cui egli stesso è complice responsabile sino a quando non fa un bagno di umiltà dei propri retaggi ideologici. Perché questo avvenga occorre un processo di partecipazione che lo faccia calare sui problemi concreti. Il rischio è che oggi questo "popolo di sinistra" ci faccia perdere ancora ma è un rischio che si deve iniziare a correre. L'unico antidoto è non abbandonarlo al messianismo vendoliano, vuoto di contenuti concreti. L'antidoto è già nei nomi di Pisapia e di Segrè, nella loro autocandidatura fuori dagli apparati del PD, nel seguito che potevano suscitare nella società civile. Una società desiderosa di tornare ad essere società politica, rendendo giustizia a questa avvilente separazione che lo stesso linguaggio ormai testimonia;

6) in Puglia ancor più che altrove si avverte ormai il limite dell'esperienza Vendoliana. Essa coniuga la promessa messianica con
una sostanziale povertà di contenuti reali se non quelli di una "buona amministrazione della cosa pubblica" anch'essa vissuta come pura retorica moralistica e non come derivato pratica di una "prassi". Vi è insomma un limite di coraggio politico in Vendola, un limite che è tutto scritto anche nella sua biografia politica. L'appello identitario è costruito come abito per coprire un vuoto di elaborazione politica. Vendola ripropone niente più che il welfare, uno stato sociale da contrapporre a quello liberale tanto più quanto più è possibile. Il resto, il web, internet e tutto quello di cui si parla e si associa a lui, è usato come strumento di marketing politico. Nessuna elaborazione sulla democrazia partecipata, nessuna elaborazione da liberale di sinistra anche su temi che gli potrebbero essere congeniali come la plutocrazia perché liberale Vendola non lo è proprio. Preferisce sognare "mondi nuovi" e proporre come scenario politico l'occupazione del potere, da buon socialdemocratico del primo '900. L'incapacità di Vendola di moblitare ed entusiasmare oltre il "popolo di sinistra" è tutta dentro questo limite politico, testimoniato dal suo stesso linguaggio evocativo, buono per alcuni ceti medi intellettuali ma non per il paese reale, quello dei ceti produttivi;

7) un nuovo Partito non può dunque prescindere dal "popolo di sinistra" perché questo ne è il cuore ma non può nascere dai riflessi identitari quanto invece da nuove vitalità sociali e giovanili. La grave responsabilità storica delle componenti fondative del PD che sono i residui delle due principali esperienze politiche della prima repubblica è evidente. Hanno lasciato entrambe (ex PCI ed ex DC) i loro "popoli" senza strumenti, temendo che questi avrebbero potuti essere diretti contro loro stessi, come sarebbe stato giusto vista l'assenza di una guida politica nel processo di trasformazione, compiuto nel nome del semplice trasformismo. Occorre dunque rottamare ma per farlo occorre costruire l'auto nuova, una nuova classe dirigente. E per farlo occorrono strumenti nuovi, occorre un Partito ma diverso, occorre un processo di selezione democratica di cui si sono appena abbozzate le basi ma su cui ci si è arenati subito. Non basta dire Primarie. Occorre crederci e costruirgli intorno un metodo
di lavoro. Lo stesso per i Forum!

8) fino a quando il PD continuerà ad essere il Partito della Costituzione come oggi ha detto Bersani definendo cosa è essere di
sinistra non avremo messo nemmeno il primo mattone. Il PD deve essere il Partito che prefigura una nuova Costituzione che non rinneghi la prima ma che rinnovi lo spirito costruttivo all'altezza dei tempi che fu dei padri costituenti. Non è questa una partita da lasciare ai propri avversari politici. Non si gioca di rimessa su questo tema come
se nessun altro.

Lascio questo messaggio nella bottiglia, lo getto nel mare del web e torno alle mie occupazioni. Il PD per ora non mi offre molto di più! Anche per questo ho troppe cose da dire non sapendo nemmeno dove dirle e a chi... nonostante una tessera, un Circolo territoriale e un Gruppo di discussione non ufficiale ma tollerato (i Volunteers)...

Bari, 16 novembre 2010
A domani!

A Wanda Lograno, Selma Bellomo e altri 2 piace questo elemento.

Manuel Santoro Caro Angelo, penso si potranno avere punti di discussione e di collaborazione con i Volunteers sui punti da te
descritti.

Claudia Battafarano Ci sono spunti interessanti, mi riprometto di leggerlo domani a mente lucida, ma ribadisco il concetto a te noto: la sintesi non è il tuo forte! :-)

Mario Michele Pascale Concordo. Parole sagge.

Salvatore Sparapano Io le dimissioni di Blasi continuo ad invocarle...ma a parte questo, si potrebbe solo aggiungere che tra i
"paradossi" vi è che la attuale dirigenza del PD che non crede allo statuto del partito. E' legato ancora alla idea del partito fatto
dalle sezioni (o "circoli") che seguono la linea dettata dall'alto ossia dalla segreteria. Del resto ciò è coerente con una "nomeclatura" che si autolegittima da sè oramai da decenni. Ed anche SEL non fa eccezione ed anzi sta messa peggio. Essere un "volunteers" significa anche seguire paradigmi che siano opposti a tutto questo.

De Cesare Paolo Luigi Mi dispiace Salvatore ma i titolati a chiedere le dimissioni di Blasi sono gli iscritti al PD. Possono cambiare
l'amministratore di una ditta i soci di quella ditta. Per il resto sono abbastanza d'accordo. Adesso non ci resta altro che finire il
giro e incontrare i segretari di tutti gli altri partiti:Idv, Sel, Verdi, Rifondazione, Radicali e Psi e spiegare loro che forse avrebbero convenienza a darsi da fare per un Partito Federale, per uno Stato Federale, per un sistema Bipolare, Bipartititico e Uninomnale preceduto da primarie per Legge, accompagnato da semplificazioni nella possibilità di indire referendum circoscrizionali,comunali, provinciali, regionali, nazionali, compresi i referendum propositivi e abrogativi di Leggi fiscali.

De Cesare Paolo Luigi ho messo unn link sui pastori sardi sul gruppo ADV..se perdono loro perdiamo tutti.

Filippo Coppola Le primarie furono pensate per un partito a vocazione maggioritaria,aperto all'esterno,interclassista in grado di
intercettare consensi in ogni ceto sociale. Se il PD e', come e', un partito identitario e di sinistra che parla soltanto al solito
elettorato di riferimento, se la competizione con Vendola si gioca su quel terreno di rappresentanza ,gli elettori di sinistra preferiscono Nichi (e' piu' originale, oltre che al fatto che ha maggior fascino). Per battere alle primarie gli ex rifondaroli i candidati del PD devono avere una forte caratterizzazione civica e aperta all'esterno, devono apparire autonomi e liberi dalle segreterie di partito e soprattutto con un forte profilo innovativo e riformista. Spero che dopo Milano a Bersani non venga in mente di eliminarle le primarie per evitare di fare ancora brutte figure.

Salvatore Sparapano Bene e tu che sei "titolato" le chiedi o no le dimissioni di Blasi ? Perchè fino ad ora non ho compreso la posizione in merito. Per inciso: non ho bisogno di alcun "titolo" per chiedere alcunché a chicchessia.

Salvatore Sparapano Nel merito: i referendum su leggi fiscali sono vietati dalla costituzione ( e ci mancherebbe). Sul "giro" dei
"prefissi telefonici" non saprei a che servirebbe. Piuttosto: apriamo discussioni con chi rappresenta per davvero le forze produttive come gli ordini professionali e le associazioni di categoria e studiare un "piano di lavori" inn comune a livello regionale in tema di amministrazione, economia, ambiente, agricoltura ecc.

Wanda Lograno dissento solo sulla tua opinione in merito ai forum, ai quali non ti ho visto presente...spero tu sia solo sfuggito alla mia attenzione. Il metodo è stato portanto avanti da professionisti "asettici" e tutto il lavoro è stato consegnato nelle mani del segretario e della Direzione, peraltro non è una conclusione ma solo un'inizio, o almeno spero che verrà inteso così.

Cecilia Ranieri grazie Angelo......spero di vederti presto!!!!!

Angelo Amoroso d'Aragona ‎@ Wanda. Ciao Wanda, piacere di leggerti e grazie. Non mi hai visto perché ero a Catania il 6 al Forum tematico a cui avevo deciso di dare il mio contributo e il 13 a Sanremo al Premio Tenco per lavoro. Ti assicuro che però ho partecipato più di tanti "presenti". Come Volunteers abbiamo incontrato De Santis e garantito il massimo sostegno che abbiamo dato anche da qui (ndr: facebook). Inoltre io ho scritto una relazione (lunga ovviamente!) che trovi tra le mie Note per il Forum sull'Innovazione sull'intervento regionale nel settore Cinema. Quindi NON DISSENTI AFFATTO ma sono stato forse
poco chiaro io. La pensiamo proprio uguale. Il mio appunto era sui "professionisti asettici" ma al contempo come Volunteers siamo tutti concordi che si deve dare una mano a farlo diventare un punto di inizio, difetti a parte.

NOTA (aperta a tutti) SU PROFILO FACEBOOK COPIATA E INCOLLATA CON I COMMENTI SINO ALLE ORE 10,00 DEL 17 NOV 2010

10 novembre 2010

PER IL CINEMA IN PUGLIA CI VUOLE UNA SECONDA GAMBA...

...ALTRIMENTI SI E' ZOPPI E NON C'E' INNOVAZIONE

Contributo al Forum sull'Economia dell'Innovazione di Bari 13 novembre 2010

Non c’è innovazione nella cultura senza sedimentazione dei saperi e senza lavoro sulla memoria e sulla conservazione attiva. In particolare si vuole porre qui l’accento sulla necessità di avviare nel campo dell’intervento della Regione Puglia sul cinema e sull’audiovisivo un intervento organico per la creazione di infrastrutture preposte alla memoria e alla costruzione di una cultura del cinema stesso.

Ho posto personalmente questa esigenza sin dalle prime consultazioni messe in atto dall’Assessore Godelli dopo il suo insediamento. Già in quelle occasioni ebbi modo di ricordare che un intervento che mirasse alla semplice creazione di una Film Commission, pur se da tutti auspicato, sarebbe stato un intervento zoppo. Perché la Puglia cammini con gambe autonome nel terreno della produzione audiovisiva occorrono infatti DUE GAMBE.

Una può e deve essere quella attenta al marketing territoriale, inserendo la Puglia nel sistema globale della produzione audiovisiva, quindi con capacità di attrazione verso le grandi produzioni come fa la Apulia Film Commission.

L’altra gamba, di fondamentale importanza quanto e non meno della prima, deve essere invece un'infrastruttura o una rete di infrastrutture che lavori sulla memoria e sulla conoscenza.

Prima di entrare nel merito di questo occorre precisare che il problema della Puglia è stato quello di essere nei suoi momenti migliori un palcoscenico molto ricco per la distribuzione di cultura. Al contrario poco si è fatto perché nascesse una capacità produttiva. E non perché mancassero risorse artistiche e intellettuali oltre che tecniche. Al contrario ed è inutile spendermi nel ricordarle. Anche nella mia piccola esperienza incontro ingegneri di elettronica che hanno iniziato in Puglia e sono dovuti emigrare non per trovare mercato (il grosso era qui al sud) ma per costruirsi una immagine che desse loro credito. Questa immaturità produttiva genera un doppio provincialismo: quello di fare del localismo un valore perché un trend positivo ma effimero ne consente una facile "vendibilità" e l'altra al contrario di ritenere che qualsiasi ambizione sia esagerazione provinciale in se. La Puglia soffre di entrambe. Posizioni che spesso si scontrano ma che hanno una inconsapevole matrice comune. Vi sono invece compentenze, anche minori, oltre che eccellenze che se messe in rete e portate a fare sistema darebbero al territorio grandi vantaggi in termini di qualità e innovazione. Da dove nasce questa incapacità e perché oggi, nonostante diversi anni di intervento regionale sul cinema, il gap resta tale e si resta una periferia romana del cinema nazionale? Perché, come dice bene la relazione introduttiva, questi inteventi sono ancora lontani dal rientrare nei parametri che la Comunità Europea indica per la sviluppo di una produzione indipendente?

Nella produzione cinematografica da sempre la formula che consente l’innovazione e l’autonomia (senza la quale è inutile pensare ad una presenza “regionale”) è stato quello della originalità dei percorsi artistici e produttivi uniti alla presenza di quelli che un tempo si chiamavano “Cine Club”. Il binomio di indipendenza e cineclub è il filo rosso che lega tutte le esperienze di crescite "regionali" e autoriali (quindi innovative) nella storia del cinema.

Nel primo incontro con la Godelli nacque subito e in modo corale l’esigenza di investire su una Casa del Cinema intesa come mediateca, luogo dove la ricerca lascia traccia di se e si sedimenta, dove gli sguardi critici (grande è la ricchezza di “critici” che il nostro territorio produce e regala a Festival e iniziative editoriali in Italia e nel mondo) aiutino le diverse generazioni a creare nuovi sguardi autoriali sul mondo. La Puglia anche da questo punto di vista non è stata parca di esperienza, talvolta anche d’avanguardia ma sempre è mancata la trasmissione di questi saperi da generazione a generazione. Cosa che è possibile se vi è attività sia di conservazione sia di produzione editoriale. La collocazione a "margine" di cui la Puglia gode e che si è evidenziata con forza dopo gli sbarchi di albanesi del 1991 è un punto di forza che solo una struttura del genere può valorizzare. In un Convegno a Lecce organizzato da un Festival che ha proprio il merito di lavorare anche in questa direzione il Presidente della Apulia Film Commission, Oscar Iarussi, dichiarò in controtendenza con gli altri relatori proprio questa verità: che il cinema europeo come somma di cinematografie nazionali era stato da sempre un fallimento e che gli unici spazi di vitalità tematica e di innovazione nel linguaggio venivano dalle esperienze periferiche, quelle nate ai suoi "margini", nelle linee di confine e lontane dai Centri motore delle cinematografie appunto cosiddette nazionali. Va aggiunto che queste ultime in un mercato sempre più globlale stentano a conservare posizioni di mercato che ne sorreggano lo sforzo produttivo. Il cinema nacque globale quando era muto e la stagione della sua nazionalizzazione linguistica è da tempo messa di nuovo in crisi dalla perdita ormai storica della posizione dominante nel panorama complessivo dei Media audiovisuali.

Le Film Commission sono nate nel mondo anche dalla necessità per la grande industria di spostarsi loro dai Centri motori, dagli Studios verso i "margini", alla ricerca di paesaggi, costumi e idiomi di cui il pubblico è sempre più affamato. Una ricerca di verità e sguardi sul mondo che avviene in modo strumentale e non produce altro che mode passeggere e che raramente lascia sul terreno opportunità di sviluppo autonomo. Per questa ragione, pur se di pari importanza per camminare, le due gambe hanno una diversa importanza se guardiamo allo sviluppo del territorio e alla sua capacità di innovazione. L’intervento di una Film Commission, priva del secondo partner sopra descritto, autonomo ma in dialogo con essa, è inevitabilmente orientata alla produzione nazionale. Non è possibile infatti creare comparti industriali più piccoli. Qualora invece si avanzi con le due gambe è possibile favorire la nascita di esperienza che si connettano sul più vasto mercato globale e internazionale. La posizione di territorio a margine consente infatti questo tipo di esperienze ma occorre creare un humus che lo alimenti e favorisca.

D’altro canto le stesse Film Commission dovrebbero concepirsi non come Enti Cinema e carozzoni pubblici. L’esperienza validissima della Apulia Film Commission conferma la sua naturale vocazione ad essere Film Commission della Regione Puglia. Più agile sarebbe stato concepirla come tale, consentendo quindi che ad essa territori comunali e provinciali più agile affiancassero proprie Film Commission. L’innovazione parte anche da queste leggerezze d’intervento mentre impossibile diventa dar conto della propria imparzialità su scala regionale ad una Film Commission che si troverebbe obbligata ad operare in nome di ogni Comune e ogni Provincia. Cosa oggettivamente non possibile ma nemmeno auspicabile se obbedisse solo a logiche burocratiche o monetarie.

Al contempo l’altra richiesta subito rivolta alla Regione Puglia era quella di favorire la nascita di poli digitali e di reti di distribuzione indipendenti. Risulta da questo punto di vista dispersivo il lavoro pur egregio compiuto su un centinaio di Laboratori Urbani che avrebbero potuto avere una Regia per comparti produttivi della creatività atta a creare unicità territoriali. Queste realtà anziché moltiplicare tecnologie e servizi a rischio di rapida obsolescenza potevano creare reti di servizi altamente qualificati che avrebbero reso la Puglia uno straordinario esempio di capacità produttiva diffusa.

Lo stesso dicasi per le opportunità che una rete distributiva regionale poteva offrire alle produzioni indipendenti. Produzioni indipendenti che trovano la loro collocazione naturale dentro un CIRCUITO EXTRA COMMERCIALE quello appunto solitamente un tempo affidato ai Cine Club, dove per dirla in termini semplici si consuma il cinema passato, si organizzano retrospettive, si consuma il cinema come prodotto secolare e culturale e non come attualità, raccordandolo quindi ad altre esperienze della conoscenza. Anche per questo con maggiore attenzione alla innovazione, alla ricerca, alla sperimentazione che può avvenire in ambiti extra commerciali ed extra industriali. Oggi questo lavoro non lo fanno più i Cine Club ma le Cineteche e le Mediateche e spesso si associa ad un lavoro ad alto contenuto tecnologico ed innovativo quale è il restauro digitale. Tale lavoro ha perso la connotazione meramente conservativa ma assume la funzione di rimessa in circolazione di contenuti sempre più importanti quali sono i repertori audiovisivi, non meri oggetti museali ma materia prima per nuove produzioni, in specie in quella documentaristica. Quest'ultima è in grande ascesa nel mercato televisivo tematico ma in Italia è ancora gravemente in ritardo per quantità e qualità. Per le produzioni regionali al contempo, se si adottano gli strumenti previsti dalla Comunità Europea e ancora sotto utilizzati in Puglia, vi sono grandi occasioni di sviluppo autonomo dai centri nazionali.

Anche per questo sarebbe importante veder nascere in Puglia uno sportello di ANTENNA MEDIA che potrebbe lavorare su tutta l'area balcanica come è stato per la Regione Piemonte rispetto alle confinanti regioni alpine. Lo stesso occorre dire per il Centro di Produzione RAI che dagli anno '80 è chiuso e si dovrebbe lavorare per una sua riapertura con un disegno originale e che corrisponda ai parametri europei quindi con una netta distinzione rispetto ai soggetti produttori di contenuti che devono essere degli "indipendenti" e non delle ditte in appalto.

E’ infine da annotare che la dimensione interregionale già messa in atto dalla più grossa Associazione di categoria qual è l’AGIS unita alla opportunità politica di due Regioni con Governi politicamente omogenei andrebbe sfruttata per un intervento coordinato. Lo suggerisce il territorio, le opportunità che esso offre e la naturale tendenza degli operatori presenti a operare in questa direzione. La Basilicata ha esperienze già avviate nel campo della conservazione sia privata sia pubblica. Quella privata è addirittura una delle più grandi collezioni di pellicole d’Europa ed è di fama internazionale, la Cineteca di Oppido Lucano. Quella pubblica è uno dei centri di elaborazione di un intervento varato dal Governo Prodi, Mediateca 2000, ed la Mediateca di Matera.

Chiudo aggiungendo che nel mio piccolo ho già cercato di dare seguito a queste direzioni d’intervento con la creazione di una Rete denominata RECIDIVI, acronimo di Rete dei Repertori Cinematografici Digitali e Video. Siamo stati interlocutori attenti sia della Apulia Film Commission, sia dell’Assessorato alla Cultura, sia di quello alle Politiche Giovanili oltre che della Teca del Mediterraneo, Biblioteca del Consiglio Regionale Puglia e della non avviata Mediateca Regionale di Puglia e della Mediateca Provinciale di Matera sopra citata.

03 novembre 2010

UN MESSAGGIO NELLA CASSAPANCA DI IERI PER IL TEMPO DI OGGI


Non sono io ad aver cercato Idillio infranto ma lui ad aver cercato me. Ed io ho obbedito come ad un destino, talvolta infastidito dal non potermene liberare. Ancora oggi mi trovo a dover approfondire la ricerca sulla vicenda produttiva del film, di cui poco si conosce. Nulla tuttora sappiamo sulla coppia di regista e attrice comprimaria, nulla sul “Gigus” dell’adattamento per lo schermo e sulla sua eventuale fonte letteraria. Nuove informazioni sono comunque emerse anche durante l’ultima lavorazione di restauro, quella che ci ha consentito di digitalizzare sia gli scarti che gli altri frammenti di repertori cinematografici del fondo documentale. Ne è emersa con certezza la volontà di Orazio Campanella di fondare una casa di produzione. Sono documentabili tentativi di realizzare altri film di natura documentaria come un match sportivo o di pubblicità per una fabbrica di arredi da bagno, in cui si osa anche un nudo femminile. Prodotti di questo tipo a quel tempo trovavano facilmente spazio tra una proiezione e l’altra del film in programmazione nelle sale cinematografiche.
Resta comunque la tentazione di leggere il film in chiave simbolica. Il titolo del film e il suo riemergere dall’oblio a ridosso del centenario del cinema aiutarono non poco a vedere nella pellicola la metafora di una condizione a quei tempi ancora da riscattare per il nostro territorio. Quando nel 1996 presentai il film al Nuovo Cinema Palazzo, per una serata di gala fortemente voluta dall’allora Assessore alla Cultura di Bari Domenico D’Oria, mi augurai che il venire alla luce di questa pellicola segnasse la fine dell’Idillio infranto tra il Cinema e la Puglia.
Così è stato e potremmo parlare di rito propiziatorio, di un simulacro nascosto per mezzo secolo dentro una cassapanca che liberato rimette in moto un processo interrotto. Ecco dunque che alla tentazione di leggere quale immagine di cinema si celasse dietro l’esperienza filmica si è accompagnata un’indagine più critica, quasi a vincere resistenze provinciali che volevano leggerlo come mera esperienza amatoriale, a meno che non si volesse definire così anche tante esperienze indipendenti dei decenni a seguire, supportate per altro da un alleggerimento della macchina produttiva che per “Idillio infranto” è invece quella pesante del 35mm con l’aggravante di doversi industriare anche nello sviluppo della pellicola stessa. E non è certo per sminuirne il valore che negli stessi termine se ne parla, il 18 marzo 1933, su una delle più autorevoli riviste italiane, «Il Corriere Cinematografico» edito a Torino, prima capitale del cinema in Italia a quel tempo appena spodestata da Roma con la nascita, nel 1931, di Cinecittà.
Si scrive del film in prima pagina, tra divi americani e capolavori del tempo. Si dedicano tre colonne e lo si indica come esempio di quel «Cinedilettantismo» che insieme alla «fondazione di Cine-Clubs» potrebbe far nascere «i germi della nostra caratteristica cinematografia nazionale». Sembra troppo ma a ben vedere si tratta della formula che, a seguito dell’esperienza neorealistica ma evolvendo da essa, porterà alla nascita, prima in Francia e poi in tutto il mondo, della Nouvelle Vague: indipendenza più cineclub. Un fenomeno in nuce, come lo era già il neorealismo negli intenti di Blasetti e dei Cine G.U.F., ma che trovò molto tempo dopo le condizioni storiche per realizzarsi.
Per me è questo il messaggio che Idillio infranto ci ha consegnato con il suo oblio.
È questa una favola che ormai mi accompagna da tempo. Una Fata della Fonte (quella di Acquaviva dove l’acqua “pura defluit”) che alimenta tenacia e spirito d’iniziativa di una comitiva di giovani pugliesi. Poi intervengono due Streghe. Quella “di Fuori” dei parenti e delle condizioni storiche che dicono a questi giovani che l’impresa è troppo ardua per riuscire e quella “di Dentro” che li convince che sono solo dei perdigiorno, dei fannulloni e delle pecore nere. Voler fare cinema non è né impresa culturale né impresa per gente con la testa sulle spalle. Meglio portare il film e tutti i suoi orpelli nella soffitta di una masseria di famiglia e riporlo per sempre dentro una cassapanca. Sepolto. Ma vivo: infatti come nella favola della Bella addormentata ecco ricomparire la Fata buona che opera un sortilegio e preserva intatta la pellicola, la mette in sonno sino al nuovo secolo e sparge tutt’intorno la polverina dell’oblio (potremmo chiamarla, sorridendo, la “gioia del colle”?).
Non so perché quella Fata della Fonte abbia poi scelto me per riscoprire la pellicola. L’impresa fu iniziata da altri e io mi limitai a prestare la mia persona ad una causa ovvia e sacrosanta. Rimase invece incastrata in nuovi ostacoli di istituzioni sorde o impotenti. Così il primo elfo della buona sorte, Tommaso Lapegna, si arrese. E io presi il testimone e da allora non l’ho lasciato più. Dopo anni d’insistenza sono particolarmente orgoglioso di aver trovato Partner istituzionali (Teca del Mediterraneo e Cineteca Nazionale) e privati (Club delle Imprese per la Cultura) che hanno capito le potenzialità di un restauro digitale rispetto al primo intervento del 1995.
Con Mario Musumeci ho trovato la persona che poteva dare corpo a quest’idea perché non si operasse un semplice restauro conservativo del manufatto bensì, con un’operazione per altro rispetto agli intenti a basso costo, lo si mettesse nelle condizioni, anche migliori del tempo in cui fu realizzato, di vivere nelle sale di cinema e negli schermi digitali di oggi.
A noi cineasti pugliesi resta invece il compito di raccogliere il messaggio conservato in quella cassapanca perché trovasse il tempo per essere capito e realizzato. La (ri)nascita del cinema (non solo italiano) resta sempre nella formula già vista dentro Idillio infranto dell’indipendenza e della cinefilia. Ossia di pratiche produttive magari marginali (e non è la Puglia terra per eccellenza di margine, di frontiera?) ma originali, sia nei modi che nei temi, unite ad una prassi di sguardi critici sul cinema presente e riletture “militanti” di quello passato.
Una prassi che può affermarsi solo se nascono luoghi preposti alla sedimentazione dei saperi, quali furono un tempo Cinestudi e “Cine Club” e che oggi devono essere strutture che lavorino sulla conservazione e sulla memoria. Ora si deve, ora si può. A noi il compito di dimostrare alla Fata della Fonte di aver scelto il tempo migliore per sottrarre Idillio infranto all’oblio.

CONTRIBUTO AL COFANETTO DVD DI CINETECA NAZIONALE E TECA DEL MEDITERRANEO CON RIEDIZIONE DI "IDILLIO INFRANTO" RESTAURATA CON PASSAGGIO DIGITALE E MUSICATA NEL 2009 - ALTRI CONTRIBUTI DI OSCAR IARUSSI, WALDEMARO MORGESE, NICO GIRASOLE, MARIO MUSUMECI E ANNA CLAUDIA SCAMMACCA

IO E L’ORFEO MELOPEO


Enzo Del Re è l’esempio di come si possa stare al mondo senza doversi arrendere al mondo. Chiuso nella sua casa, in cima ad una ripidissima scala di almeno trenta scalini, Enzo riesce, anche se con fatica, a piegare il mondo a sé e non farsi piegare da esso. Nonostante la dialisi che lo blocca un giorno si e uno no, nonostante una pensione di 365 euro al mese, nonostante non abbia mai accettato alcun compromesso e non si sia mai fatto produrre un disco da nessun editore, Enzo è riuscito ieri come oggi a cavalcare i palcoscenici più importante dello spettacolo in Italia. Negli anni ’60, appena giunto a Firenze, viene scoperto con Antonio Infantino da Nanni Ricordi per uno dei primi Long Playing stereo della Ricordi, per il quale si utilizzano anche gli orchestrali della Scala di Milano. Subito dopo partecipa da protagonista alla nascita del teatro politico di Dario Fo e Nuova Scena, ma continuando a calpestare con Infantino anche i palcoscenici milanesi di Enzo Jannacci e quelli romani del Folk Studio. Negli anni ’70 intuirà immediatamente il nuovo e sarà uno dei protagonisti assoluti dei concerti organizzati dai Circoli Ottobre di Lotta Continua in tutta Italia, quelli in cui esordiscono Franco Battiato, Pino Daniele e i Napoli Centrale, gli Area, Francesco De Gregari, Claudio Lolli e tanti altri cantautori e musicisti italiani. Oggi Enzo Del Re viene riscoperto ancora una volta e invitato in scena da Vinicio Capossela o dai Têtes de Bois. Il Primo Maggio del 2010 Enzo ha conquistato la piazza che non lo conosceva, da solo, su un palco enorme, con un pubblico di centinaia di migliaia di persone, molto distratte. Lui con la sua sedia li ha messi tutti in riga a cantare canzoni per i più mai ascoltate prima. Una qualità unica quella di Enzo di far cantare a primo ascolto chiunque. Una qualità nascosta dentro la sua arte di poeta della parola prima ancora che di musicista.

Enzo Del Re, nato il 24 gennaio 1944, inizia giovanissimo a comporre, verso la fine degli anni ’50, appena adolescente o, come direbbe lui, adalauscente, perché su ogni parola Enzo esercita la sua arte più segreta e a lui più cara: quella di “stravolgimentologo”. Compone in dialetto molese e molte di queste splendide canzoni le pubblicherà solo nel 1973 nel suo primo Long Playing autoprodotto, “Maul”, il suo disco bianco. Copertina senza titolo e solo un foglio all’interno con la traduzione dei brani. La semplicità e l’essenzialità dei gesti di Enzo sono racchiusi in questo disco che pubblica canzoni con cui Del Re si è accompagnato per anni. Lo ascoltavano incantati i suoi ospiti e gli artisti con cui dal 1966 ha condiviso case che diventavano vere Factory, esperimenti di Comuni nelle campagne toscane, Camere del Lavoro dove prendeva forma la più famosa e importante stagione di teatro politico italiano. Enzo vi arriva insieme ad Antonio Infantino, conosciuto nel 1967 a Firenze, e con il quale in quella città ha partecipato ad una fervente stagione di vivacità artistica che vedeva presenti le avanguardie di tutto il mondo, dal Living Theatre ad Allen Ginsberg. Ed è nella casa del critico d’arte Claudio Popovich che Enzo inizia la sua avventura di Orfeo Melopeo: un modello di vita che lo ha caratterizzato per due decenni. Ne troviamo una esemplare descrizione nella sua ultima produzione su musicasette del 1992 “La leggenda della nascita di Mola”. Canta Enzo di Orfeo:
“quando concertava via via compensava l’ospitalità che piena di entusiasmo la gente gli dava e gli riservava / l’accoglienza artisticamente ripagava e appena a cantare si metteva tutti i debiti saldava… / … / e d’avergli dato ospitalità ogni abitante si contendeva il vanto / … “

In queste strofe credo sia riassunto tutto il senso di questa esperienza. Quella straordinaria di Enzo Del Re e quella mia di aver avuto l’occasione di conoscerlo e interpretarlo in questo documentario. Spero di averla restituita in questa chiave. Come dice Waldemaro Morgese che questo documentario ha fortemente voluto e di cui diamo testimonianza nella introduzione del dvd video, in Enzo Del Re si sommano tre modi di porsi che è raro se non unico trovare in una sola figura senza soluzioni di continuità: il melodismo identitario della canzone popolare, la canzone “impegnata” di un artista molto connotato politicamente e la ricerca d'avanguardia sui suoni e sui ritmi, con la scelta di suonare solo il suo corpo e gli oggetti poveri della quotidianità.

“…/ La voce libera al cielo Orfeo forte alzava e tutt’attorno che poesia si sentiva che risuonava / nella voce piena d’immaginazione la commozione… / … / in tutte le piazze sotto l’aria serena Orfeo il cantastorie animava la scena tutt’attorno teneva la popolazione che a sentirlo rimaneva con la massima attenzione.”

Dalla fine degli anni ’70 Enzo Del Re si è ritirato a Mola di Bari. Realizzando questo documentario ci siamo accorti di quanto vivo fosse il ricordo che aveva lasciato nei suoi compagni di strada. Enzo è tornato a cantare solo in dialetto molese, esaltando soprattutto la sua vena di cantastorie ma senza rinunciare alla sua posizione di rigorosa anarchia verso ogni forma di potere. Anche in questo Enzo Del Re non soffre come sconfitta personale il fallimento della stagione rivoluzionaria del ’68. Probabilmente per lui si tratta solo della sconfitta di un potere contro un altro. Il suo anarchismo rimane invece una posizione verso il mondo, parte di quella necessità iconoclasta di controllare ogni gesto e renderlo vivo. Come le sue parole.

“…/ Sempre concerti faceva e i poveri difendeva / … / quando cantava chiarezza faceva perché i segreti dell’universo sconfinato rivelava… /…/ pure contro gli Dei Orfeo si schierava, i segreti svelava, forte denunziava“

QUESTO TESTO ACCOMPAGNA IL DVD "IO E LA MIA SEDIA" EDITO DA EDIZIONI DAL SUD PER LA TECA DEL MEDITERRANEO E CONTENENTE IL MIO DOCUMENTARIO DI UN'ORA SU ENZO DEL RE

IL DOCUMENTARIO E' ARRICCHITO DA UN VIDEOCLIP DI "POVERA GENTE" NELLA VERSIONE ESEGUITA DA ENZO DEL RE PER "QUI TUTTO BENE E COSI' SPERO DI TE" LP NUOVA SCENA 1971