14 luglio 1991

THE LYNCH'S LANG: la furia in un cuore selvaggio!


il gioco delle coincidenze
Cosa mi spinge a mettere Lynch a confronto con Fritz Lang? E per scoprire cosa? In realtà tutto è iniziato per caso, una sera che, convinto di dover recuperare 'Liliom' (il film che nel '33 Fritz Lang diresse in Francia dopo la fuga dalla Germania nazista), sono stato invece condotto a vedere 'Cuore Selvaggio'.

E' stata la prima coincidenza: mi sono seduto e tra la mia mente e lo schermo è nato un gioco di sovraimpressioni. Sulla retina si proiettava 'Cuore Selvaggio' e la mia mente vi vedeva invece ...l'ultimo film di Fritz Lang. Subito dopo sono tornato a leggere di 'Liliom' e mi sono addormentato con una favola: quella di ...Sailor e Lula.

Due ragazzi si amano e decidono di vivere insieme. Sailor è buono ma sfrontato e violento, mette la sua libertà innanzi a tutto. Ha già pagato per questo ma ricade ancora una volta nell'errore, anche se questa volta lo fa per Lula, perchè lei aspetta un bambino e merita un futuro. Sailor allora si dice: "sarà l'ultima volta". E partecipa ad una rapina. Gli promettono che sarà incruenta ed invece ci scappa il morto. Ora è davvero nei guai, dovrà pagare ancora, ed ancora una volta dividersi da Lula.
Lei intanto partorisce un bambino: crescerà senza poter conoscere il padre. Sembrerebbe che ormai nulla possa ricongiungere Sailor e Lula. Lui infatti non sa trattenersi dall'essere libero e violento, è il costo che deve pagare per il suo spirito di indipendenza - come ama ripetere citando Marlon Brando con la sua giacca di pelle di serpente. Sarà una fatina allora a scendere dal cielo. Lo aiuterà a prendere coraggio, ad andare oltre il suo destino, ovvero oltre il suo stesso carattere, per costruirsi una famiglia con Lula ed il suo bambino.

E' la trama di 'Cuore Selvaggio' ma così raccontata potrebbe essere anche quella di 'Liliom', e le differenze sono meno importanti di quanto possa apparire ad uno sguardo superficiale. Sailor e Lula saranno Liliom e Julie. La madre cattiva di Lula, aspirante amante di Sailor ed incattivita dal suo rifiuto, sostituirà la donna del Luna Park, la invidiosa Madame Muscat che considera Liliom di sua proprietà ed è gelosa dell'amore esclusivo che lo lega a Julie. Ma Liliom ha un grande difetto: non ha voglia di lavorare ed è manesco per abitudine, rischiando così di perdere anche la sua Julie. Però un giorno scopre che lei attende un bambino e decide di cambiare vita: per poterlo fare dovrà decidersi a compiere quella rapina che un finto amico gli propone e gli promette facile ed incruenta. La rapina si concluderà invece con la morte di Liliom e sarà in Paradiso che si giocherà la scommessa contro il proprio carattere. Nel romanzo di Molnar Liliom perde questa scommessa ma Fritz Lang introdurrà nel film il lieto fine: sulla bilancia della giustizia divina le lacrime di Julie compenseranno le colpe "innocenti" di Liliom che potrà quindi conquistarsi il Paradiso, nonostante il suo cuore selvaggio. Nel film di Lynch sarà Liliom/Sailor a non sentire il dolore dei pugni, nella favola di Molnar è Julie a dire alla sua bambina che vi sono schiaffi di cui non si sente il dolore.

In 'Cuore Selvaggio' scompare il Paradiso e forse la fata è solo un'allucinazione, ma la favola ha lo stesso happy end: sia Liliom che Sailor sono violenti ma entrambi meritano il paradiso per la forza del loro amore. Quello che realmente distanzia tra loro i due film è l'ambiente in cui si muovono i protagonisti ed il gioco di avversità che a loro si frappone. Un'altra più radicale differenza è la spirale di citazioni in cui si avviluppa non tanto il film quanto la realtà di cui ci parla 'Cuore Selvaggio'.

Tuttavia, per quanto mi sforzi, non riesco a trattenermi, a non confondere 'Cuore Selvaggio' con un altro film: un giovane esce dal carcere, una donna lo aspetta per partire in viaggio con lui. Eppure il mondo è contro di loro...
Questa trama mi ricorda qualcosa. Passa del tempo...

...notte del 9 gennaio 1991, in Italia si mette in onda la prima puntata di 'Twin Peaks', serial televisivo prodotto dalla coppia Lynch/Frost.

Una donna aspetta con ansia sua figlia. E' sola, in casa. Nel frattempo, altrove, si è già consumata una tragedia che la riguarda ma di cui non può sapere: la figlia è stata assassinata da un maniaco sessuale. Per la donna non v'è ancora nulla, non una sola notizia: solo le ore che passano, l'attesa, il vuoto della tromba di scale che dovrebbe condurre la figlia da lei.

Qualcuno ricorderà questa scena ed in particolare l'immagine di quel vuoto della tromba di scale, a sottolineare l'attesa angosciosa di una notizia: "Si la conosco, è 'M' vero? Di Fritz Lang..."

Veramente no, parlavamo ancora di 'Twin Peaks'. Ancora una coincidenza, evidentemente (ma chi può giurarlo, forse questa volta si tratta davvero di una citazione).

E' giunto allora il momento di dare retta a questi indizi e non considerarli più coincidenze prive di significazione. Proveremo a dargli credito oltre ogni ragionevole intento critico.

dalla colpa alla malattia: il cinema etico
Un giovane commette un reato per cui finisce in galera e paga la propria colpa. Quando esce dal carcere c'è una donna che lo aspetta. Intenzionati a vivere insieme si mettono in viaggio. Fuggono lontano, verso il Messico, e trascorrono felici i loro giorni d'amore in un villaggio di poche case. Eppure il mondo è contro di loro, vuole rivendicare la loro colpa come male originario, destino malato di chi nasce dalla parte sbagliata. Riuscirà il nostro giovane a sottrarsi a questa sorte? Probabilmente no, ma comunque dovrà provarci. Anche quando il destino si presenta ineluttabile può essere colto nella sua natura umana.

Nel 1937 Fritz Lang dirige questo film con il titolo 'Sono innocente', oltre mezzo secolo dopo David Lynch dirige 'Cuore Selvaggio'. Finalmente ho ritrovato la trama a cui il film di Lynch mi rimandava. In 'Cuore Selvaggio' ritroviamo dunque la favola di 'Liliom' quanto le implicazioni di 'Sono Innocente'. Il film ci appare ora come una nuova variazione sul tema tragico del destino individuale e della felicità. Ed è su questo tema che si è costruito intorno agli anni '30 un cinema che definiremo "classico" perché carico di implicazioni etiche. Ma può oggi il cinema tornare alla classicità? Sailor dice a Lula: "tu resti con me dopo avermi visto uccidere un uomo, cosa posso chiederti di più?". Se ripercorriamo la filmografia americana tra gli anni '30 e '40 troviamo questo tema ripetutamente sviluppato. Basti pensare a 'Sospetto' di Hitchcock. La domanda è "chi è l'uomo con cui ho scelto di dividere la mia vita?". Nei film americani di Fritz Lang questa domanda si trasforma in un afflato - "chiunque sia quest'uomo io resterò con lui" - che conduce il protagonista alla salvezza o comunque lo redime di fronte ai nostri occhi.

Dunque 'Cuore Selvaggio' e 'Sono Innocente': la storia può ancora sembrare la stessa, ma cosa sarebbe scomparso? Dai titoli, per cominciare, è scomparsa la colpa.

Il cuore invece è rimasto selvaggio, cade in tentazione perchè vivo e ribelle, soggetto al fuoco ed alla passione. E' un cuore caldo in un ambiente umido ed afoso, è un cuore innocente che porta, con il suo impeto, a compiere azioni cattive, che porta la persona a cadere nella colpa.
Nel cinema di Lynch questa colpa non è più in discussione. L'accusa è girata al mittente, l'innocenza si è disillusa. Quello che rimane in discussione è il proprio destino e la capacità di prenderlo tra le mani. Il tema preferito di Fritz Lang.

D'altro canto, è il cinema di Lynch ad aver modificato il discorso o non è forse la realtà ad imporre queste modifiche avendo spostato la nostra attenzione dal problema della colpa?

Certo il cinema di Lang era costruito intorno a questa ossessione. Al contrario di Hitchcock che indagava il sentimento della colpa (è per questo che i suoi film sono costruiti intorno ad innocenti ingiustamente incolpati), Lang analizzava l'azione colpevole per scoprire l'innocenza che dentro vi si può celare, o viceversa. Dietro v'è sempre il tema tragico del rapporto tra individuo e società, tra destino e scelta. Il cinema di Lynch non offre uno scenario così rigoroso e composito eppure con 'Cuore Selvaggio' e 'Twin Peaks' sembra rimettersi sugli stessi binari e viaggiare nel paesaggio che separa, ma infine ricongiunge, la civiltà dal selvaggio.

Quello che per Lang era dunque il problema della colpa diviene in Lynch, per sua stessa affermazione (1), il problema della malattia. L'uomo è un animale malato, condannato dalla sua stessa natura ad essere tale. L'etica nasce dalla necessità per l'uomo di imparare a vivere, ovvero di curarsi ogni giorno da una malattia che non conosce guarigione o redenzioni ma solo terapie.

E' la confessione di una malattia che corrode l'anima quella che Leland Palmer fa davanti all'ispettore Cooper. Tutti gli abitanti di Twin Peaks potrebbero identificarsi in questa confessione e provarne compassione. Tutti, anche se con l'indice puntato dell'accusatore. Come la confessione di Peter Lorre, l'assassino con la M sulla schiena, di fronte alla platea partecipe e commossa dei criminali erettesi a giudici. Ancora una volta due monologhi, due confessioni che mi rimandano uno all'altra: da 'Twin Peaks' ad 'M'. Una strana coincidenza (e questa volta il gioco rischia di trasformarsi in delirio) vuole che le due punte di Twin Peaks ricordino davvero la M del mostro langhiano e che questa lettera si presenti identica a se stessa anche quando riflessa - quasi a ricordarci che dietro il mostro c'è sempre la malattia e che la dualità tra il Bene ed il Male si presenta in sembianze univoche che solo la letteratura riesce a sdoppiare ma che la vita ci nasconde nella univocità delle apparenze.

Così la stessa apparenza di un lampadario può caricarsi di inquietudine, basta che la lampadina si metta a vibrare. E' l'espediente che fu caro al cinema espressionista (vedi per Fritz Lang, in 'M', il lampadario di un salone carico di fumo, o la dimora del conte in 'Mabuse') quanto al primo Lynch, quello che in 'Erasehead' - il suo debutto nel cinema indipendente - trasforma gli oggetti della quotidianeità in elementi di orrore, senza alterarne le normali apparenze: ascensori che ci mettono troppo tempo a chiudersi, lampadine che tremano, termosifoni che sfiatano. Sotto lo sguardo soggettivo dello spettatore è la nuda oggettività a divenire perturbante.

Dopo la passione per il fantastico è la normalità ad aver conquistato i due registi. Lo stesso eroe protagonista, in 'Cuore Selvaggio', non sfida il destino per grandi imprese ma per costruirsi una vita coniugale. La normalità dunque è carica del perturbante e non vi è felicità che possa essere conquistata senza una forza , che chiameremo - come sempre - amore.

cos'é tragico?
Quello che, dietro il velo delle coincidenze, mi fa accostare questi due autori è dunque la loro comune attenzione verso il tema tragico della personalità. Se il finale di 'Sono Innocente' ricorda la "macchina del destino" espressionista sarà in seguito che Lang abbandonerà del tutto questa visione incombente e meccanicista del fato. La scena diventerà invece tragica, nel senso originario del termine, come lo stesso Lang vorrà sottolineare citando Democrito in una lettera riportata dalla Eisner (2):
"L'uomo dà sempre la colpa alla natura e al destino. Ma il suo destino è soprattutto il riflesso del suo carattere, delle sue passioni, dei suoi errori, delle sue debolezze."

Forse esagero ma credo che l'intreccio di 'Sono Innocente' sarebbe stato corretto dallo stesso Lang alla maniera di 'Cuore Selvaggio'. Per cui quest'ultimo può essere considerato, grazie al suo happy end, il remake del primo. E' la stessa Eisner a farci notare il retaggio espressionista di 'Sono Innocente': Jo, il protagonista femminile del film, porta al suo Eddie non la salvezza ma la morte. E' lei la macchina ineluttabile del destino che ci porta il Male insieme al Bene. Eddie non ha partecipato questa volta alla rapina, si trovava lì davvero per caso. Sospettato dalla polizia la sua donna gli consiglierà di non fuggire, di affrontare sereno il giudizio perchè innocente. Sarà invece condannato a morte e per sfuggire a questa ingiustizia ucciderà davvero, ed ucciderà un prete che credeva alla sua innocenza.

Lang ai tempi del film non aveva ancora corretto la sua estetica, dovendosi ancora - a suo dire (3) - americanizzare. Possiamo allora considerare Lynch un suo seguace oriundo.

l'happy end
L'esempio migliore è per l'appunto la struttura a lieto fine di 'Cuore Selvaggio'. E' questo, a mio avviso, il debito più grande del film verso il cinema di Lang. E può rimanere un debito di cui non si conosce il creditore, poiché Lang non ha l'esclusiva di questa struttura drammaturgica, nè d'altro canto si sottomise ad una regola industriale (come pensarono gli intellettuali europei), né accettò l'happy end con entusiasmo servile, piuttosto collaborò alla sua formulazione (conservando la distanza critica dell'autore verso le regole del gioco, distanza che ha spesso ricusato ai cattivi produttori di non avere).

La concezione langhiana dell'happy end è quella del doppio finale. Il primo sviluppa le linee del destino, il secondo deve dimostrare l'esistenza di una possibilità; il caso è una costruzione di causalità ed il destino è costruito da ognuno di noi. Quello che gli altri comunque costruiscono per noi può essere modificato dalla nostra forza di volontà. Con il doppio finale noi conosciamo il baratro, l'errore, perchè si possa meglio intuire la necessità di opporvisici. E' la struttura della favola piegata alle esigenze del realismo.

In 'Cuore Selvaggio' questa struttura è dichiarata, resa trasparente con l'apparizione della fatina. In questo distacco ironico dalla struttura dell'intreccio traspare forse un maggiore pessimismo, ma non mi sembra che neanche Lang sia mai stato un ottimista. Piuttosto nessuno dei due autori ha voluto trasformare il proprio pessimismo in disfattismo.
La distanza tra ottimismo e pessimismo può essere di poco conto. Diventa incolmabile quando il primo sfocia nella stupida dedizione al caso e l'altro nella fuga dalle responsabilità. Forse è contro questi due estremi che si trova lo spazio d'azione per un cinema etico, quale appare delinearsi in Lynch ed è stato in passato con Fritz Lang.

cinema totale?
Un amico cinefilo mi dice: "E' un tentativo di cinema totale, ne sono diffidente". E' una definizione che Beneix aveva adottato per il suo 'Betty Blue'. Credo che Lynch tenti con 'Cuore Selvaggio' un cinema totale lì dove Beneix cerca di usarne solo la tecnica. Perché il cinema totale è solo il contenuto tecnico di un cinema "classico". Dovremmo infatti intendere il concetto di totalità come attenzione alle possibilità fruitive, come capacità di allargare il più possibile il pubblico potenziale del proprio film. Il cinema classico, per le sue stesse implicazioni etiche, sente infatti la necessità di essere "popolare", ovvero di costruirsi in funzione di un corpo sociale (e partendo dalle stesse implicazioni è possibile, a dire il vero, solo un altro percorso: quello di un cinema schivo dalla popolarità ed in cui la totalità si nasconde nelle pieghe di una fruizione comunque elitaria). E' facile pertanto che la totalità si risolva in vuota spettacolarità e drammaturgia da manuale.

Credo anch'io che fermarsi al contenuto tecnico della "totalità" conduca lontano dal realismo. E' questa una riflessione che forse andrebbe condotta sul cinema francese di questi anni - non solo Beneix ma anche Carax e Besson - che sembra aver imboccato il vicolo cieco del cinema d'autore, inteso non più come soggettività e quindi acutezza dello sguardo bensì come esercizio di stile.

Al contrario qui non ci troviamo di fronte ad una rinuncia allo sguardo acuto, quello che vede e ci mostra le piccole cose. Non è quello lynchiano un esercizio retorico incapace di ricostruire, anzichè rappresentare, la realtà sullo schermo. Non credo - come comunemente si avverte in Italia nei confronti di Lynch - che ci troviamo di fronte a qualcosa di lontano dal realismo e che si esaurisce nell'inseguire la pura spettacolarità ed il colpo di scena.

Dietro Lynch non credo di poter trovare Lang, dietro entrambi mi sembra invece di scorgere un cinema fatto della stessa materia. Cosa si può nascondere dunque dietro una serie di coincidenze? Forse qualcosa di molto profondo, più che in qualsiasi citazione - di cui spesso sono carichi i film degli ultimi anni. Perché il cinema di Lynch sicuramente non si costruisce rispetto a quello di Lang (per fortuna!) ma inizia ad apparirmi simile per come si rapporta alla realtà - alla realtà dello spettatore quanto a quella che si vuole rappresentare.

dal Joe Doe al serial: il cinema come spettacolo popolare
Sia Lynch sia Fritz Lang sono approdati al cinema con intenti altamenti espressivi, spesso preferendo il fantastico al reale, la simbolizzazione alla connotazione. Volendo cercare potremmo anche annotarci la comune passione per l'architettura e lo scenario futuribile in film quali 'Metropolis' e 'Dune'. Quello che invece mi ha interessato è che entrambi sono approdati al cinema come spettacolo popolare. Il protagonista di 'Cuore Selvaggio' o l'ispettore Cooper possono essere considerati come variazioni sul tipo del "Joe Doe" - ovvero l'americano medio - fatto eroe. L'uomo comune viene eretto a protagonista e la realtà quotidiana a scena tragica in cui combattere contro il destino.

La scelta del realismo e dell'uomo comune come protagonista - il Joe Doe del realismo americano anni '30 e '40 - sono dunque necessari ad un cinema che trova la propria funzionalità nell'essere spettacolo popolare. Se il protagonista di 'Cuore Selvaggio' è un giovane rockettaro, un solitario ribelle senza grandi possibilità se non quella di fare l'autista di un criminale arricchito, lo stesso ispettore dell'FBI in 'Twin Peaks' veste i panni dell'uomo comune, vulnerabile e pieno di strane convinzioni ispirate alle filosofie orientali. Quella di Twin Peaks - come è stato già notato (4) - è la realtà di una nazione in cui l'Anticristo dei neofondamentalisti è parte delle convinzioni e quindi delle azioni politiche del Presidente degli States ed in cui le indagini scientifiche di un qualsiasi ispettore Cooper possono essere condotte secondo i dettami della filosofia Zen.

Se 'Twin Peaks' nella seconda serie assume sempre più i toni del fantastico e del misterioso è per non allontanarsi da questo gioco con gli spettatori, per entrare sempre più nel profondo di paure e visioni che connotano la loro realtà. L'interesse per la forma del serial e la metodologia adottata dalla coppia Lynch/Frost - quella di scrivere gli intrecci ed i copioni con uno scarto di poche settimane dalla messa in onda ed a ridosso dalle riprese (5) - dimostrano la volontà di costruire il proprio cinema sull'immaginario collettivo. Con gli spettatori si instaura un legame statutario e con loro si gioca la propria partita creativa. Forse lo stesso interesse di Fritz Lang per il serial - vedi la serie sul Dottor Mabuse - nascondeva intenzioni analoghe.

lo statuto dello spettatore
David Lynch e Fritz Lang: due registi che rinunciano deliberatamente allo statuto dell'autore per piegarsi con orgoglio ed ambizione a quello dello spettatore. In questo senso possiamo affermare che 'Destino' sta a 'Erasehead', come 'Furia' a 'Cuore Selvaggio'. Dagli intenti altamente espressivi del film d'esordio al punto d'arrivo del primo film compiutamente realista.

La trilogia del realismo americano alla Joe Doe - 'Furia', 'Sono Innocente' e 'You and Me' - è per Fritz Lang un punto d'arrivo (6). Se 'M' ha la forza del capolavoro assoluto è per la lucida concisione degli intenti. Lo sviluppo straordinario di questi intenti lo ritroviamo invece nel periodo americano, di cui 'M' può essere considerato l'antefatto. Non poteva che accadere in America, nazismo a parte.
Certo, potremmo immaginarci un risveglio simile a quello hollywoodiano in Europa - se non ci fossero stati i regimi del totalitarismo moderno bensì delle democrazie rappresentative da sviluppare - ma forse è pura immaginazione. Infatti in Europa anche gli autori che, come Fritz Lang, sembravano dirigersi verso il realismo vengono frenati, forse dal sospetto intellettuale o forse dagli intenti delle avanquardie artistiche o dalle stesse condizioni produttive.

il cinema come scena tragica: la classicità
Resta il fatto che solo in America il cinema si misurò per intero con una funzione sociale, ovvero come scena tragica e quindi come luogo politico per la cementificazione culturale della società civile e nazionale. E' questa funzione politica dell'industria cinematografica a far imporre le regole del realismo ed in ultima analisi a far sì che i propri prodotti acquisiscano il valore della classicità.

Quello che abbiamo definito come tema tragico della personalità si impone ora come contenuto della scena tragica di fronte alla quale si costruisce un'intera nazione. Lo schermo acquista quel valore di specchio sociale per un'intera comunità che viene attribuito alla tragedia greca e definito come classicità.

I mutamenti estetici di Lang sono quindi meglio comprensibili se si guarda alla funzionalità sociale che assunse la macchina industriale del cinema in America. Lang era un intellettuale tedesco sicuramente non indenne dal sentimento romantico e classicheggiante di un'arte "VolK". Lo dimostrano i suoi film tedeschi, quali 'Metropolis' o 'I Nibelunghi', eppure fu nel sistema hollywoodiano che egli scoprì le possibilità produttive da lui cercate per un'arte in quel senso popolare e si impegnò pertanto con entusiasmo perché la macchina industriale si indirizzasse in tale direzione. Questo accadde in America, anche grazie al coraggio di intellettuali europei come Fritz Lang.

Lo stesso coraggio lo ritroviamo oggi in Lynch. Qualcuno piangerà la perdita dell'autore di 'Erasehead', altri sono rimasti in questi anni con il fiato sospeso, in attesa che il tracciato dell'autore comparisse come il solco di un aratro sul terreno della produzione industriale di film. La macchina dei sogni esiste ancora: non è quella compiaciuta degli Oscar e dei lupi buoni - verosimili ma inveritieri - di Kostner, bensì quella crudele ed esagerata che autori con il coraggio di Lynch sanno far mettere in moto ad ingegneri del cinema stanchi e dalle idee ordinarie.


eccesso di realismo?
E' noto l'amore di Fritz Lang per gli elementi fantastici, per i gabinetti alchimistici e per i viaggi esotici. Sono elementi a cui rinunciò, preferendovi la pratica del "social setting" e del ritaglio di cronaca. Al contrario l'ultimo Lynch sembra aver riscattato la materia dei sogni facendola entrare nella vita ad occhi aperti di due ragazzi ribelli o di una intera comunità di montagna. Ma non è forse la realtà a presentarsi oggi come un "rapid eyes moviment" (la breve fase in cui i sogni entrano con maggiore forza nel sonno) alternato a momenti sempre più brevi di veglia, sino a non distinguerne più i confini? Lula e Sailor potrebbero muoversi in una realtà diversa da quella piena di immagini ed alterazioni in cui vivono realmente? Nulla nel film di Lynch ha il sapore dunque della citazione. Poco ci importa di Marlon Brando, Elvis Presley e del Mago di Oz se non che sono connotazioni realistiche del nostro personaggio.

Come già Fritz Lang, Lynch utilizza una tavolozza molto variegata di caratterizzazioni per i propri personaggi. Eppure l'intento rimane quello della oggettività, non dello stereotipo bensì della ricerca nella vera apparenza - delle cose e delle persone - di elementi che possano farci uscire dagli stereotipi realisti, o di genere, o televisivi. Ciò che è vero non sempre è verosimile, è un postulato realista che viene qui capovolto per introdurre invece l'inverosimile in difesa del realismo.

Un'amica legge questi appunti e mi racconta che suo zio ha perso l'anulare della mano sinistra scendendo da un camion: è balzato giù ed ha visto per terra un dito con la fede, ha guardato meglio ed era proprio il suo dito... la fede si era impigliata a qualcosa e glielo aveva strappato via.
Anche la mia amica, come lo zio, non possiede un dito: da piccola voleva scoprire come funzionava il frullatore e vi mise la mano dentro.
Conosco un altro che ne ha perse diverse di dita. Fa il marconista sulle navi. Da piccolo gli avevano messo per scherzo dei mortaretti accesi tra le mani.
Ed un altro ancora che il dito mozzato se l'è messo in bocca, per tenerlo al caldo - "era mio!" ha detto - e glielo hanno riattaccato.

Tutto questo ci è venuto in mente pensando all'orecchio nel prato, di 'Velluto Blu', ed alla mano mozzata raccolta dal cane randagio, di 'Cuore Selvaggio'.

Quello che il cinema di Lynch e di Lang dovrebbe insegnare agli uomini di mestiere è che le regole drammaturgiche del cinema sono cosa diversa da quelle del romanzo realista. Nel primo la realtà si fa avanti e invade lo schermo come mai nell'opera d'arte, che è pura rappresentazione. L'inverosimile non rompe dunque lo statuto realista ma finisce per sostenerlo.

Quello che differenzia il cinema dalle arti è il suo apparire - qui ed ora - come realtà. Se il romanzo o il quadro hanno bisogno di farsi credere il cinema, al contrario, dona credibilità a qualsiasi rappresentazione. Potremmo dire che il cinema è realista per statuto: ma deve questa limitarsi ad essere una semplice constatazione tecnica in grado di giustificare il successo di ogni genere fantastico sullo schermo in quanto capace di apparire reale? O non è forse una ragione per dire che il cinema non ha bisogno della verosimiglianza per essere realista?

Si è spesso parlato di espressionismo per Fritz Lang e se volessimo intenderlo come sinonimo di esasperazione ne parleremmo anche per Lynch.
Ma sono esasperazione ed esagerazione aspetti antirealisti, come vuole intenderli chi li usa quali categorie interpretative? Non è un caso che i registi rifiuterebbero simili collocazioni.

Piuttosto sia in Lynch che in Lang è la ricerca di una dimensione audiovisuale degli intrecci filmici ad indurli a cadere facilmente nella tentazione di esasperare i punti di vista o deformare la messa in scena, sia visiva, sia sonora. Non si tratta di una stilizzazione del proprio "fare cinema" (così frequente nell'ultimo cinema francese o, per fare un esempio, nello Schlesinger di 'Uno sconosciuto alla porta') bensì di una propensione alla rottura stilistica - delle convenzioni generali quanto delle proprie - per mettere in allarme il pubblico. In altri termini, non si tratta affatto di una concezione "linguistica" del mezzo filmico, bensì di una concezione "realista" ed antigrammaticale (ovvero: se esiste un linguaggio filmico esso non ha grammatica, non ha regole, tranne quelle che ogni film ricostruisce volta per volta). Per entrambi i registi non ci troviamo di fronte ad un feticismo d'autore per il mezzo filmico, quanto alla volontà di tornare alla realtà svegliando i sensi dello spettatore tramite la novità del non visto sullo schermo, e dell'inaspettato nella narrazione. Non è un caso che l'approdo all'intreccio realista corrisponda per entrambi ad una moderazione degli impeti espressionisti. Non si tratta di maggiore controllo o di autocensura, bensì di migliore aderenza del proprio cinema all'oggetto filmico: ogni esagerazione può presentarsi meglio giustificata nei suoi intenti di rimandare alla vita fuori dallo schermo e può dunque fungere come una sorte di sottolineatura - anzichè come simbolizzazione - della realtà medesima.

dal realismo sociale al realismo fantastico: andata e ritorno
Fritz Lang dovette rinunciare al fantastico e controllare la sua mano per non compromettere l'esito realista, a cui rimase fedele, come nessun regista di genere, anche nella ricostruzione storica del "western". Eppure tra i migliori esiti possiamo iscrivere le atmosfere oniriche di 'Dietro la porta chiusa', le tende assassine di 'Bassa Marea', il volto ustionato della Grahame ne 'Il grande caldo'. Nel libro della Eisner leggiamo: "Dopo il simbolismo elaborato dei film tedeschi, negli Stati Uniti Lang scopre che semplicemente esasperando la concretezza delle situazioni o degli oggetti gli si fa assumere un significato astratto fino a diventare vero e proprio simbolo" (7).

Credo che in Lynch si siano al contempo attenuati i pesi simbolici delle esasperazioni ed accentuate le situazioni fantastiche. In Lynch il realismo si coniuga per intero - senza bisogno, come in Lang, di pretesti narrativi - con la struttura drammaturgica della favola e del fantastico, in un genere che potremmo definire realismo fantastico.

La definizione è stata già utilizzata dalla Eisner per Fritz Lang ma credo si adatti meglio all'ultimo cinema di David Lynch. Quando Sailor decide di compiere la rapina noi osserviamo la scena in una sfera di cristallo. La maga cattiva sta muovendo le sue pedine e compiendo il suo incantesimo. Eppure quella sfera ci era stata già presentata come occasione di raccordo nel montaggio alternato tra i fuggiaschi Sailor e Lula, e la madre inseguitrice che tesse intorno a loro la sua rete criminale. Lula sogna più volte la madre come strega cosicché la sfera di cristallo è un gioco visivo creato non per leziosità ma per dare compattezza al racconto. La prima volta la sfera è un grande anello, poi è una lampada e solo al terzo raccordo - quando abbiamo imparato a comprenderne la connotazione senza dover ricorrere al simbolo - si presenta senza giustificazione alcuna.

Lang lo ripeteva spesso: agli americani i simboli non piacciono (8). A Lynch riesce naturale farne a meno.

l'economia connotativa
Con 'Cuore Selvaggio' ci troviamo di fronte ad un cinema memore della lezione del muto non per artisticità (è il dubbio che invece mi lascia il cinema di Carax) ma per impianto costruttivo. Tutto 'Cuore Selvaggio' è costruito con un principio essenziale: l'economia connotativa. Senza remore il film è costruito per montaggi alternati di sei piani di racconto: la fuga di Sailor e Lula; la madre sempre più disperata; il fuoco delle sigarette; l'antefatto di cui conoscevamo solo l'esito finale; la storia che precede e spiega l'intreccio (da notare che il fuoco delle sigarette può appartenere sia alla trama principale - Sailor e Lula - sia a questa serie di flash back - tra cui la madre che uccide il padre di Lula dandogli fuoco - e che il fuoco perde progressivamente il peso simbolico affidatogli dal Dettaglio nei titoli); ed infine la rete criminale intessuta dalla madre. In quest'ultimo piano il film si fa quanto mai conciso ed essenziale. Uno dei personaggi, alla maniera langhiana, viene presentato prima con la semplice ombra di una stampella. Sarà facile riconoscerlo la seconda volta, ma questa volta noteremo i suoi capelli biondi. Quanto basta per poterlo in seguito ricollegare ad un altro personaggio, quello interpretato da Isabella Rosellini.

La stessa essenzialità connotativa la ritroviamo nell'uso del suono. E' impressionante come alle resistenze artistiche verso il sonoro (in estremo basti pensare alle posizioni di Arnheim sul cinema come opera d'arte (9)) si contrapponga la scarna praticità di registi come Hitchcock, Lang o René Clair che ai loro esordi con il sonoro ne compresero subito le potenzialità cinematografiche. In Lang v'è un netto passaggio al realismo. Egli rifiutò per tutta la vita di ritornare su soggetti quali i Nibelunghi o 'Destino' per l'impossibilità di evitare il ridicolo a causa del sonoro, ovvero dei dialoghi eccessivi adatti alle didascalie ma non alla recitazione cinematografica. In Lynch troviamo una voglia curiosa di correre invece questo rischio, in specie in 'Dune' ed in 'Velluto blu'.

Il primo cinema di Lynch - penso ad 'Erasehead' ed 'Elephant Man' - può essere considerato muto, I suoni sono pochi ed importanti ma il film preferisce costruirsi intorno al materiale visivo, scegliendo tra i suoni quelli più vicini alla presenza oggettuale: non i dialoghi, non la musica ma soprattutto i rumori. In seguito Lynch sembra aver scoperto una piena libertà espressiva dell'intero materiale sonoro. In 'Cuore Selvaggio' anche la musica non si preoccupa di essere di troppo perché anche lei ha una funzione connotativa (10). Così dietro l'eccedenza lynchiana scopriamo un principio di economia.

il cinema come "voce del pensiero"
L'importanza dei dialoghi in 'Cuore Selvaggio' ci mostra come il cinema possa essere parlato senza perdere sul piano visuale. Al contrario il continuo inseguirsi, talvolta sovrapponendosi, talvolta in contrappunto, dei due piani di fruizione crea una percezione altra, forse quella stessa percezione di cui parlava Fritz Lang quando lavorava a 'Dietro la porta chiusa'. A differenza della voce narrante la "voce del pensiero" che sperimentò Lang introduceva un piano di ascolto altro rispetto al materiale visivo. L'effetto ricercato era quello di un cinema che raggelasse lo sguardo soggettivo, che portasse alla oggettività il pensiero. Il cinema come visione dunque ma nel senso dello stadio mentale della coscienza.

In rapide sequenze di immagini il film corre dietro alle parole di Lula - quasi ridondante, quasi nostalgico di non essere muto - per poi offrirci le immagini dissonanti di un omicidio raccontato invece come incidente. Le sfumature psicologiche del personaggio di Lula ci sono così mostrate senza ricorrere alle tecniche del racconto romanzato o teatrale ma a quella del raccordo verticale tra i diversi piani che compongono un film. Quello che compatta la varietà del materiale narrativo è questo reciproco pensarsi dei personaggi, con il netto predominio di Sailor e Lula che inseguiti si inseguono l'un l'altra nello sforzo di doversi dire tutto.

dal linguaggio del linciaggio al linciaggio del linguaggio
Di 'Cuore Selvaggio' non riesco a dimenticare una scena, è nella mia mente per tutto il corso della scrittura. Oso chiedermi: chi è riuscito a parlare di più ai ragazzi italiani che rischiano di trovare la morte sulla strada tornando dalla discoteca? Le magliette, i servizi televisivi, i reportage documentaristici o un film americano che si è limitato a raccontare, ovvero a commuovere? Mi riferisco ovviamente all'incidente d'auto, per me il più bel episodio di 'Cuore Selvaggio'. Uno squarcio di drammatizzazione della realtà inserito nell'economia drammaturgica del film. Non a caso, tornando da Lula, Sailor reincontra un incidente e corre sui tetti delle auto in coda. Questa volta non vedremo l'orrore dell'incidente d'auto e neanche Sailor e Lula dovranno fermarsi una seconda volta: loro ormai hanno imparato a vivere, dopo aver guardato la morte negli occhi.

Non credo che si possa spingere oltre il gioco, non credo, per esempio, di poter ricercare in Lynch l'amore per l'asciutto documentarismo che fu invece di Lang. E' forse il caso di guardare ora ciò che fa la differenza, di avvicinarsi così al carattere dei due autori per metterli l'uno a confronto dell'altro.

Dunque dirò che Lynch sta a Lang come la bestia felina sta al villaggio dove gli uomini parlano la lingua. L'europeo Lang ci mostrò la furia del linciaggio nascosta dietro il linguaggio sociale. L'americano Lynch (come il comandante Lynch che istituì la Lynch law, da cui il nostro verbo linciare) sembra piuttosto voler scatenare l'esecuzione sommaria dei linguaggi, per perdita di forza e di significanza, per l'appunto perchè glabri.

La Lince entra nel villaggio con dentro la natura della selva ma pronta ad asservirsi, ad imparare il linguaggio civile degli uomini.
Come in un racconto di Quiroga la bestia non riuscirà a dimenticare le immagini della foresta e sotto la sua pelle glabra ora si intravede la pelle a striscie della fiera.
La gente si impaurisce e la bestia implora:
"per favore non odiarmi, non volevo vedere le colline di fuoco. Non volevo vederlo e lasciarlo entrare.
Ti prego, diario, aiutami a spiegare che non volevo essere quello che sono diventata. Non volevo avere certi suoi ricordi e certe sue rivelazioni.
Ho fatto soltanto quello che può fare ognuno di noi, in ogni situazione...
Il mio meglio".
Non è la signorina leonessa (11) di Quiroga che implora il villaggio.
Sono le ultime parole di Laura Palmer (12), sulla scrivania di tanti intellettuali e sul comodino di tante quindicenni: qualcuno le userà per fare di meglio, senza dover perire, altri per fare comunque di peggio. Tutti per imparare a vivere.

epilogo: nous avons le droit de vivre
Jo ha rovinato Eddie con la sua ingenuità ed il suo amore, ora è di nuovo con lui in una inutile fuga dal mondo, verso la morte. Siamo alle sequenze finali di 'Sono innocente' - Jo dice:
"Forse non troveremo mai la felicità ...ma abbiamo il diritto di vivere"

'Nous avons le droit de vivre': peccato che, quarantatrè anni dopo, i distributori d'oltralpe non abbiano pensato di riutilizzare il titolo francese del film di Lang per il vincente 'Cuore Selvaggio' (nel '90 Palma d'Oro a Cannes).

Dedico queste pagine a Loredana e agli altri amici Matteo, Michele, Nico, Saverio, Susy e Tilde - che mi hanno tutti suggerito qualcosa - ma soprattutto a Fabio Segatori, che mi condusse a vedere il film di Lynch anziché 'Liliom'.
note
1 Cfr. in 'Cineforum' 300, 'La malattia di Twin Peaks', Fabrizio Liberti.

2 Lotte H. Eisner, 'Fritz Lang', 1978, Mazzotta, p. 323; della Eisner si veda anche per il periodo espressionista 'Lo schermo demoniaco', 1983, Editori Riuniti.

3 Cfr. in 'Cult Movie' 17/18, 'Ecco cosa penso dell'happy end ', Fritz Lang, Edizioni Spazio Uno.

4 Cfr. in 'Movie' 6/7, 'Trasgressione in Prime Time', Alberto Piccinini e Cristina Piccino.

5 Cfr. in 'Movie' 6/7, 'Sul set di Twin Peaks', Luca Celada.

6 Cfr. 'Il cinema secondo Fritz Lang', P. Bogdanovich, 1988, Pratiche Edizioni; l'intervista è ripresa anche dalla Eisner, 'Fritz Lang', cit., pp. 139/142 e nella introduzione di Alberto Rollo a 'Il colore dell'oro', Fritz Lang, 1990, Editori Riuniti, p.IX/XI.

7 Lotte H. Eisner, 'Fritz Lang', cit., p. 157.

8 "Lang mi ha confidato che ormai non avrebbe più usato quel tipo di simbolismo, ricordando che Sam Katz gli aveva detto all'epoca: 'Agli americani non piacciono i simboli. Non sono così stupidi da non capire anche senza.'" in L.H. Eisner, 'Fritz Lang', cit., p. 148.

9 R. Arnheim, 'Film come Arte', 1983, Feltrinelli; in particolare la 'Nota personale' del '57.

10 Cfr. in 'Movie' 6/7, 'Badalamenti, il chirurgo di Twin Peaks', Valerio Corzani.

11 H. Quiroga, 'Il deserto e altri racconti', 1990, Mondadori

12 Jennifer Lynch, 'Il diario segreto di Laura Palmer', 1991, Sperling & Kupfer.